Categoria: ARGOMENTI TECNICI OTTICA

Lavorazione delle superfici ottiche

E’ forse il caso di affrontare in modo un pochino più esteso questo argomento. Si leggono spesso dissertazioni sulla realizzazione di superfici ottiche, sulla loro relativa precisione, sul metodo per arrivare a determinati risultati.
Il succo di queste letture è che quasi nessuno degli intervenuti conosce quantomeno teoricamente la materia, e disserta in affermazioni fantasiose che ingenerano confusione e poca chiarezza.
Posteremo alcuni pensieri, volti a spiegare in modo schematico quali sono oggi le tecniche per la produzione di specchi o lenti, che siano al di la della Draper in  legno.
Esistono diverse metodologie per la produzione di una superficie ottica, ciascuna legata al settore di destinazione, ai volumi, al grado di precisione richiesta.
Eviteremo dunque di parlare delle linee totalmente automatizzate per le lenti destinate al settore fotografico (di piccolo diametro, anche le più grandi) e delle tecniche di occhialeria che è di bassissima qualità ottica.
Nel nostro settore una lente (o specchio) può essere prodotta in due modi:

  1. il metodo “artigianale”, quindi con tempistiche relativamente lunghe, con risultati piuttosto ondivaghi da pezzo a pezzo, con macchine costruite dall’artigiano stesso e frequentemente con parti di recupero. I risultati variano in funzione dell’abilità del costruttore e del cliente di destinazione. Chiameremo questo metodo “artigianale”.
  2. il metodo “industriale”, quindi con tempistiche brevi, con risultati abbastanza costanti, con impianti a controllo numerico molto costosi e con standard medio bassi, per evitare di far intervenire l’uomo alla fine del processo – che falserebbe la linea dei costi totali. Chiameremo questo metodo “industriale”.

Il processo uguale per i due metodi, salvo che per le macchine impiegate (nel primo caso autocostruite, nel secondo realizzate da case specializzate), è quello di generare la curva sul disco di vetro. La macchina generatrice di curve è per l’artigiano una sorta di trapano molto robusto a testa inclinabile, o una fresa medesima se i dischi sono molto grandi, a cui viene applicato un utensile apposito in polveri diamantate, per la parte industriale una struttura complessa e costosissima in cui la generazione della curva è assolutamente precisa e molto veloce. Il controllo avviene con un CNC, ad altissima velocità e con tolleranza molto stretta. A titolo di esempio una macchina generatrice di curve per uno specchio di 400 mm di diametro pesa circa tre ton, impiega circa 15 minuti per generare la curva, e consuma una quantità impressionante di acqua e aria compressa. Ma il lettore consideri i 15 minuti, la ripetibilità e si potranno contare gli specchi che si generano in due turni lavorativi. I costi sono presto fatti. Ci sono macchine più leggere per volumi più piccoli.
Avendo dunque generato la curva con uno o con l’altro metodo è poi il momento di passare alla finitura di questa curva (molto ruvida e imperfetta otticamente parlando). Gli artigiani impiegano macchine di vario disegno secondo i propri gusti e le proprie preferenze. Nel settore industriale si usano delle derivate della Draper controllate elettronicamente. Questo processo usa ancora abrasivi piuttosto grossi, e nel settore professionale slurry ad immersione o pads diamantati applicati sul maschio. L’uso di questi slurry o pads dà una vita lunghissima all’utensile (circa 5000 superifici) e quindi ne azzera il costo, permette di lavorare a velocità  estremamente elevate e di ammortizzare rapidamente la macchina, se ci sono i numeri per sostenerla. Tempo di lavoro 15 minuti circa con macchine a controllo.
La terza fase, è denominata in gergo “lappatura”. La lappatura rappresenta per le ottiche artigianali la lucidatura e qui ci si ferma per verificare e consegnare lo specchio al cliente. Nel settore industriale esistono due grandi rami:

  1. ottiche con correzione corrente, cioè 1/4 d’onda, che sono poi i prodotti consumer dei vari produttori mondiali; lo specchio viene raccolto e rapidamente controllato e se sta nei parametri minimi richiesti va immediatamente al coating;
  2. ottiche con correzione di diversi gradi per le più disparate applicazioni e quindi vengono poi passate al processo di polishing o lucidatura.

Attenzione a non confondere la lucidatura artigianale con quella industriale, sono due cose molto diverse, e salvo casi molto ben conosciuti, non si applica mai al settore amatoriale.

Definizione dei difetti di lucidatura in ottica.
Scratch-Dig è il parametro tecnico usato nell’industria e nel campo professionale per determinare la qualità di una superficie ottica in relazione alla sua rugosità, secondo la norma ben chiara MIL-O-13.830A. I numeri riportati rappresentano  l’ampiezza delle rugosità in microns. Questo sgombera rapidamente il campo sulle  continue dissertazioni relative alla rugosità di uno specchio astronomico. Se non è superlucidato (vedi sotto), è inteso come lappato e buona notte senza tanti discorsi inutili. Il grado di qualità della lucidatura dipende anche dal tipo di vetro usato.

Scratch – Dig legenda.

80/50 standard di polishing comunemente accettato, nel nostro caso è il mercato consumer;
60/40 superfici ottiche commerciali molto buone (la produzione artigianale per astronomia, Oldham, Orion, ecc. compresi;
40/20 superfici ottiche di alta qualità (qualche superlucidato nel nostro caso, e un paio di nomi che operano anche a livello professionale);
20/10 altissima qualità di lucidatura non destinata al settore laser;
10/5 altissima qualità prodotta su richiesta del settore laser e telecomunicazioni.

 

Misure e definizioni.

Scratch Dig
80 8 microns di ampiezza 50 0,50 mm di diametro
60 6 microns di ampiezza 40 0,40 mm di diametro
40 4 microns di ampiezza 20 0,20 mm di diametro
20 2 microns di ampiezza 10 0,10 mm di diametro
10 1 microns di ampiezza

E’ utile notare quanto questi valori siano  bassi, trattandosi di metodi abrasivi, quando ci si inoltra nel settore più specializzato.

Aggiungiamo un altro termine, che NortheK non considera un grado di difettosità, e che viene evidenziato qualora i trattamenti riflettenti siano molto sottili (1 microns). Nelle produzioni massive questo elemento di disturbo viene eliminato aumentando gli spessori dell’evaporato:
Sleek Scratch: la norma stabilisce che sono graffi le cui dimensioni sono talmente piccole da non poter essere agevolmente misurate, ma comunque visibili ad occhio nudo. Si tratta di linee difformi e spurie normalmente dovute a contatto della superficie ottica con granelli di polvere. La presenza degli sleek non viene considerata come un difetto ottico e quindi non viene presa in considerazione.
Quanto sia poi importante la lucidatura in un’ottica amatoriale, è argomento di grande discussione, pregno di correnti e ragionamenti in parte veri e in parte falsi. Se da un lato abbiamo incontrovertibili elementi di studio, e analisi fisica che ci dimostrano come un’ottica superlucidata funziona meglio in termini prestazionali finali, dall’altro abbiamo una chiara dimostrazione di come – in campo amatoriale – determinati assunti non sono applicabili. Ovvero: anche supponendo di potersi permettere l’acquisto di un’ottica superlucidata, potro’ poi anche permettermi l’acquisto della relativa intubazione (l’insieme di tutto performa come l’anello più debole della catena: ottica, meccanica, seeing, accessori) e del contorno necessario? Prevalentemente no, e infatti ci pensa poi il seeing a spianare il resto. Ma naturalmente se si riesce ad avere a disposizione una superficie meglio lavorata è un indubbio vantaggio, quello di cui bisogna essere coscienti è che la tecnologia a disposizione dei costruttori di ottiche amatoriali non permette il raggiungimento di determinati risultati, è altresì importante sapere a “priori” che l’artigiano può seguire questo aspetto se gli viene formalmente richiesto e cercare di migliorare il proprio standard qualitativo. Da questo ragionamento, ovviamente, vanno scartate le ottiche scartavetrate che non hanno nulla a che vedere con strumenti minimamente performanti.

Parliamo di lappatura.
Lappatura industriale o “lucidatura per amatori” durata da 1 minuto a 45 minuti a seconda di come e di chi la fa e di quale parametro approssimativo si vuole ottenere.
Ci sono poi i settori “industriali” e qualche produttore di ottiche astronomiche amatoriali che si spinge oltre. E’ il dominio delle ottiche superlucidate o dell’ottica industriale a livello normato e garantito.
Il superlucidatore artigianale continua la fase precedentemente sopra descritta, semplicemente riducendo le dimensioni del prodotto lucidante. Se in precedenza ci si era fermati a dimensioni dell’abrasivo di 9 microns, ora si comincia a scendere, anche in funzione del tempo disponibile e del risultato che si vuole ottenere. Si arriva a slurry da 0,2 microns e molte e molte ore di lavoro (ma veramente tante e che vanno profumatamente pagate).

Il lucidatore industriale ha diversi modi:

  • con pads diamantati da 4 microns e circa 15 minuti di lavoro a macchina;
  • con poliuretano e slurry abrasivi per una migliore qualità e circa 60 minuti di lavoro a macchina;
  • con pece e slurry abrasivi molto sofisticati a circa due ore di lavoro a macchina.

Non a caso quando si comincia a parlare di “lucidatura” nel settore industriale, si parla di temperature ambientali controllate con uno scarto max di 1°, di molti tipi di pece diversa, di oli da inserire durante l’abrasione, di controllo delle temperature dei refrigeranti, ecc. Insomma una cosa ben diversa da quanto siamo abituati a vedere dai costruttori di ottiche amatoriali, che non possono, per questi e altri limiti – arrivare a certi risultati (eccezion fatta sempre per 1 o 2 produttori mondo che possono permettersi certe impiantistiche non certo per i telescopi dei dilettanti).

Se vogliamo tabellare i tempi per chi costruisce industrialmente le ottiche con macchine a controllo ecco un esempio semplice:

  • bassa qualità o consumer:  30 – 60 minuti al pezzo escluso il coating;
  • media qualità: 30 – 90 minuti al pezzo escluso il coating;
  • alta qualità: 1 – 3 ore al pezzo escluso il coating.

Ecco dunque una spiegazione molto sommaria ma che chiarisce molto di quella che è una relatà, diversa dalle favole e diversa dalle congetture, in mezzo ci sta tutto ovviamente, compresa la produzione di superfici ottiche con torni per ottica, ma dai costi inaffrontabili anche per chi è dotato di tasche molto capienti.

Esercizio: gli strumenti amatoriali molto ben fatti (i soliti noti, e neanche su tutti i telescopi), hanno precisioni centesimali. Ammesso e non concesso che si stia entro il centesimo di mm. Domandina: quanti lambda sono un centesimo di mm, cioè 10 microns? Fatevi questa domanda e vi risponderete.

Considerazioni generali, miscellanea.
La differenza tra un impianto o macchina concepita con rigorosa applicazione delle norme costruttive, non votate al risparmio o al riciclo dei pezzi dal rottamaio di turno, rispetto ad un progetto amatoriale è uno dei motivi che portano rapidamente ad un risultato “X”, e alla sua facile riproduzione. Naturalmente il controllo finale spiana in un certo modo diseguaglianze qualitative troppo accentuate, se lo si vuole applicare, altrimenti il grado di standardizzazione sulla qualità di prodotto è abbastanza buono (70% circa).
E’ interessante notare come – ad esempio – alcuni dettagli non siano applicabili in sistemi economici e che questi dettagli siano poi il contributo che fa funzionare o meno un sistema di produzione. Abbiamo osservato con attenzione alcuni sistemi di produzione artigianale e abbiamo notato come non si siano applicate tecniche relative alle pressioni di lavoro (ficcano un peso standard di solito), alle temperature dei vetri e dei liquidi e ai sistemi di ritenzione dei dischi di vetro. Qualcuno obietterà che sono fandonie, ma voi pensate che tralasciando questi elementi si arrivi a precisioni nanometriche? Francamente è difficile stabilire quale sia l’influenza negativa di questi fattori, noi  possiamo dire – ad esempio – che in funzione di un metodo di ritenzione dei dischi di vetro da lavorare, un costruttore (conosciuto)  riporta un errore sistematico in tutte le sue ottiche che abbiamo potuto analizzare. Evidentemente questo errore è minimo tanto da non impensierire ne i clienti ne il costruttore, ma c’è e si potrebbe evitare semplicemente.
Un altro fattore importante, quando parliamo di impianti tecnologicamente sicuri rispetto a costruzioni preistoriche, è la possibilità di ripetere praticamente all’infinito un oggetto ben riuscito, almeno fino al limite della precisione che il metodo ci consente. Questo spiega anche  perchè le grandi produzioni a controllo numerico ricoprono pochi schemi e pochi rapporti focale. Il raggiungimento di risultati accettabili a costi molto bassi richiede una messa a punto maniacale del  processo, fin nei più piccoli dettagli, e nel mantenere questi parametri costanti lungo tutta la produzione del lotto da immagazzinare. Infatti con questa impiantistica si parte con uno schema ed un rapporto focale e lo si completa mettendo a magazzino un numero di pezzi pari al budget fissato per avere un costo ben definito, solo successivamente si passa ad un rapporto focale diverso per esempio. Questo testimonia la difficoltà di settare linee produttive complesse che comunque sfornano buoni risultati (che potrebbero essere molto buoni se solo fossero eseguiti con un po’ più di accortezza e tempo), solo di poco inferiori a  produzioni artigianali che posso ancora dire la loro in schemi desueti, difficili o tirati in piccolissima serie.
Anche marchi molto blasonati che sub – appaltano determinate produzioni sono costretti a forti giacenze di magazzino (che incidono enormemente sul costo finale del prodotto), proprio perchè il produttore può garantire certi standard solo dopo aver predisposto le macchine in modo opportuno.
Abbiamo determinato i costi vivi (cioè materiale e lavoro, esclusi i variabili e i  fissi aziendali) di un famoso tripletto fotografico di alta gamma. Il rapporto è stato di 1 a 6 (cioè il costo di partenza è stato moltiplicato per 6).

Ma c’è un fatto importante che riguarda il mercato amatoriale delle ottiche astronomiche. Quando parliamo con un costruttore di lenti o specchi scopriamo che la gran parte di questi artigiani è nata dallo sviluppo di un hobby (non tutti ovviamente!), ritenuto poi relativamente ben retribuito e “tranquillo”, e quindi si è proseguito per anni su questa strada. Non ci sono dubbi che questi amatori evoluti , diventati ottici costruttori, siano anche estremamente abili e capaci (hanno una grande passione), ma – il vero punto dolente – è la assoluta mancanza di una visione imprenditoriale e/o manageriale del loro lavoro. Fino a pochi anni fa, quando non imperava internet, qualunque costruttore di ottiche produceva, consegnava e si realizzava così il suo giro di appassionati. Oggi, presto o tardi, qualunque ottica finisce sotto le mani di tester (più o meno preparati, più o meno onesti, più o meno interessati o sponsorizzati) che in funzione di tanti fattori, la analizzano e la propongono o distruggono. Se questo è positivo perchè “almeno” esiste un minimo di sentiment del mercato, è anche un simbolo della vacuità del mondo di oggi, dove chiunque con dei titoli o delle medaglie non sempre meritate puo’ buttare secchi di fango o innalzare nell’olimpo marchi e nomi. Questo non è ancora stato coscientemente assorbito da molti costruttori, e c’è una certa accettazione di uno status non legittimo, proprio per la loro non adeguata impostazione manageriale ed imprenditoriale. E’ importante che un costruttore serio non si faccia intimorire da valutazioni che vanno sempre e comunque discusse, dimostrate o confutate, ed eventualmente sanzionate dove la legislazione lo consente. Questo è importante per i clienti e per l’azienda stessa, per i primi perchè rischiano di trovare di colpo svalutato il proprio prodotto (magari per un esemplare difettoso o presunto difettoso o forzatamente difettoso),  e per la seconda perchè non puo’ permettersi che un test fatto magari da un dilettante con mezzi autocostruiti o di fortuna posti pesanti dubbi sulla  reputazione industriale del costruttore. Un fabbricante serio di telescopi ha normalmente investito somme a 5 o 6 zeri nel proprio progetto, ed è alquanto singolare che dei dilettanti, dotati di strumentazione non normata di cui non si conoscono a fondo i set up, i software e le metodologie (che sono ben previste e ben descritte nei laboratori di analisi), possano e si arrischino a pubblicare analisi qualitative ben assumendosene rischi e responsabilità in sede civile. E’ normale oltre che doveroso per chi è chiamato in causa avviare poi procedure di analisi approfondite e condivise che potrebbero pesare fortemente sul futuro dei tester medesimi. Non sono le pagine e pagine di numeretti e righe colorate che avvalorano una analisi tecnica. Una analisi tecnica si fa in un centro specializzato, che presenta regolare fattura, firma una relazione tecnica assumendosene la responsabilità di fronte a terzi, così come fa un qualunque professionista in tutti i campi moderni. In definitiva un “certificato ottico” ha un valore molto limitato se non si conoscono i significati del suo contenuto e, diremmo, che non dovrebbe servire nemmeno all’astrofilo, già che non sarà mai in grado di confutarne i contenuti. La vera prova la si fa sul cielo. Questa impostazione molto severa è una forte garanzia per il Cliente. Certamente è più facile presentare un test di cui si sa poco o nulla ad un consumatore che non è in grado di discuterne il contenuto, ma è molto più difficile saper mantenere una linea intransigente di fronte ai soliti giochi commerciali che internet permette, e questo costa non solo denaro ma anche in potenziali vendite. Ma del resto chi ama essere “tosato per bene” probabilmente non apprezza nemmeno l’onestà intellettuale che si cerca di dare alla propria attività.

L’amatore non ha ovviamente i mezzi per poter discernere il vero dal presunto vero, o da elucubrazioni teoriche che poco si sposano alle effettive esigenze del proprio hobby, e si fa quindi fuorviare talvolta, assorbendo nozioni frammentarie da forum generalisti e qualche libro divulgativo. Ben inteso che non c’è nulla di male a cercare di imparare, ed è anche un diritto del cliente manifestare al produttore una distonia  da quanto si è concordato al momento dell’acquisto (le garanzie esistono apposta, e vanno fatte valere nei tempi e nei modi dovuti), pero’ il dilettante deve sempre avere orecchio ben teso e parlare serenamente dei suoi pensieri, valutando le risposte e chiedendo eventualmente a terzi opinioni e idee. Classico è l’esempio dei valori di correzione di uno specchio o di una lente.
Ci sono stormi di appassionati che perdono ore e ore a discuterne, come poi questi valori funzionino, vengano ricavati, debbano essere ricavati e quali siano le loro implicazioni nell’uso dello strumento, esiste la confusione più totale. Riportiamo un testo gentilmente concessoci dal Prof. Dalio che lo ha tratto da altri testi, e che in modo molto sommario rappresenta uno status molto attuale, dove lo strumento non lo si valuta dalle prestazioni sul cielo ma dai fogli di carta colorati che ci vengono consegnati insieme al telescopio:
“Mi viene un po’ da sorridere poi quando leggo di differenze che sarebbero state notate su componenti ottici corretti a lambda/10. Ci sono due punti oscuri in questa affermazione che ha il tono della chiacchera da bar. Il primo punto riguarda la supposta correzione dell’elemento ottico. Come è stata misurata? C’è uno studio di S. Khoeler in cui diverse decine di interferogrammi sono stati analizzati in merito alla ripetibilità e forse sarebbe consigliabile leggerlo prima di dare per assodato che il tal componente che causava danno fosse davvero un lambda/10 mentre un tal altro che non lo causava fosse un lambda/che cosa? Il secondo punto riguarda la capacità di distinguere queste differenze. In una delle tante discussioni ho preparato una figura con lo star test a correzioni fra lambda/30 e lambda/70 rms e chi diceva di essere in grado di riconoscere le differenze ha  saputo distinguere solo lambda/30. Poi ho aggiunto un po’ di turbolenza e “l’esperto” non è stato in grado di distinguere nulla. Del resto, che pochissima turbolenza sia in grado di mascherare completamente differenze fra lambda/8 e lambda/infinito è evidente anche leggendo il Suiter (fig. 15-4 pag. 271).
Ricordo  anche un famoso esperimento di Peter Ceravolo (pubblicato su Sky and Telescope). Ceravolo realizzò 6 ottiche di 150 mm. f 8 con correzioni di 1, 1/2, 1/4 e 1/10 PV. Le ottiche furono messe fianco a fianco e fatte testare da diversi  osservatori. Le persone riuscirono facilmente a separare le ottiche a lambda/1 e  lambda/2 ma non lambda/4 da lambda/10. Sotto un cielo reale la turbolenza maschera completamente queste differenze.”

(Peter Ceravolo, Terence Dickinson, and  Douglas George “Optical Quality in Telescopes”, Sky & Telescope, vol. 83, no. 3, pp. 253-257, march 1992)”
Per gentile concessione Prof. Dalio.

Parliamo un attimo dei vetri.
E’ importante notare che alcuni produttori di mass market  hanno messo nella loro pubblicità l’utilizzo di vetri di un produttore famoso (Schott). Pero’ anche su questo è bene fare chiarezza.
Se utilizzo un BK7 di Schott o un BSL 7 di OHARA ho comunque sempre il medesimo vetro, non intendiamo scadente, ma con delle caratteristiche fisiche ben precise. Rileviamo ad esempio che nei sistemi a riflessione di questo tipo di vetro, di una casa o dell’altra, è poco indicato anche se viene usato in ragione del suo basso costo d’acquisto.
Un sistema a riflessione deve partire da vetri a bassa dilatazione come il Suprax per diametri piccoli e poi iniziare a salire con vetri più performanti (Supremax 33 che è il sostituto del Pyrex) fino ai vetroceramici, al quarzo, ecc.. L’uso di lastre a bassa dilatazione comporta anche una migliore qualità nella lavorazione della superficie (minori deformazioni termiche durante la lavorazione) e  una migliore lucidatura finale. Ovviamente il costo di questo materiale è abbastanza elevato e nei diametri piccoli non è sempre giustificato, soprattutto se si riesce a mantenere lo spessore piuttosto basso.
Ma osserviamo con attenzione, ad esempio, le ottiche di Norman Oldham. Affermiamo tranquillamente che corrispondono allo standard di qualità ottimale per l’uso amatoriale. Tuttavia ci sono varie correnti di pensiero, legate a singoli costruttori, che partecipano a sostenere un marchio piuttosto di un’altro. Siamo fortemente convinti che Oldham è stato un innovatore per quanto riguarda la costruzione di ottiche “sottili”. Altri realizzano i medesimi standard con vetri molto più spessi. E’ ovviamente un vantaggio dal nostro punto di vista, disporre di dischi sottili, per tutti i motivi di cui abbiamo discusso  in argomenti tecnici e nelle schede degli strumenti.
E’ molto più semplice produrre un 250 mm spesso 46 mm che non uno 23-25 mm , e qui si vede anche la bravura dell’ottico lavorante, ma il rovescio della medaglia è che occorre avere una padronanza assoluta delle meccaniche di sostegno (ci sono stati casi di specchi contestati, poi rivelatisi corretti, ma che deformavano a causa della cella non adeguatamente progettata, e in questo caso cosa si deve dire al Cliente?).
Certamente usare un vetroceramico ad esempio apporta notevoli vantaggi, non solo dal punto di vista delle deformate termiche, ma anche dalla propria costituzione fisica che ne agevola la lucidatura e il raggiungimento della forma geometrica come da progetto. E’ pero’ ben chiaro che tutto questo ha un costo e una logica di applicazione. Talvolta passare dal Suprax al Supremax ha già un significato notevole in termine di risultati finali.
Per gli specchi secondari, Oldham Optical nelle sue monografie spiega il motivo, è molto utile utilizzare vetri come il BK 7, il piccolo diametro (fino a 100 mm) e l’esiguo spessore (10-15 mm) non sono elementi di preoccupazione sui fattori di dilatazione, ammesso che non si usino colle e che le celle di supporto siano adeguatamente costruite.
E allora? In conclusione di questa breve esposizione speriamo di aver dato qualche indicazione di massima, che intendiamo ancora sviluppare con le tecnologie del coating e con i metodi di controllo delle superfici, interferometrici e non, con esempi chiari e lampanti di come non si utilizzano certificati ottici interferometrici o meno.
Passeremo, nel tempo, punto per punto i luoghi comuni dell’astrofilo, cercando di chiarire con la massima onestà intellettuale lo “status” tecnologico e non emotivo.

NortheK riproduzione vietata

Elementi di valutazione sulla qualità di uno specchio astronomico: brevi cenni

La prima domanda che rivolge il Cliente all’acquisto di un’ottica è relativa al livello di correzione e alle garanzie fornite al riguardo.
Ma quanto sono affidabili i certificati e quanto sono affidabili i vari test che si eseguono per il controllo delle ottiche?
Va detto che i test “classici” come il Foucault sono fattibili e restano oggi sempre validi per dare una valutazione quantitativa anche molto precisa di un’ottica primaria. Normale anche per i costruttori odierni di ottiche di qualità affiancare questi test “vecchi” a quelli interferometrici, se non altro in corso d’opera.
Nel banco ottico vengono dunque montati vari strumenti che consentono l’esecuzione dei diversi esami in sequenza, in modo da non avere esiti parziali o discutibili.
Ci sono poi tester che basano il loro business sulla recensione di ottiche che vengono loro inviate dal costruttore/distributore o perchè un cliente ha dei problemi o vuole avere un ulteriore riscontro.
Purtroppo gli enti certificatori che danno disponibilità sono rari e la loro prestazione costosa: non mancano bravi tecnici (preferendo quelli senza legami o interessi commerciali) che comunque possono verificare la qualità dell’esecuzione. Nella selva dei recensori e tester, e sempre considerando fra questi quanti hanno considerazione fra utenti e operatori del settore, resta che sia sempre importante intendersi su cosa vogliono dire i numeretti contenuti nel certificato ottico.
E’ fondamentale che i test debbono essere eseguiti dichiarando esplicitamente tutte le condizioni di contorno: strumentazione, software, metodi di riduzione ecc.. Se questo non avviene il test è meno facile da confrontare con altri. Beninteso, questo è un principio base nella letteratura tecnica (dove, se si vuole essere letti e considerati, bisogna parlare tutti uno stesso linguaggio e seguire procedure – neanche a dirlo – del tutto trasparenti e note)  mentre pare non essere consuetudine nel mondo amatoriale dove banchi eterogenei e con ottiche di riferimento varie sono la norma.
Se prendiamo uno specchio newton ad esempio e lo sottoponiamo a tre tester diversi otterremo risultati che devono essere confrontabili tra di loro, ma che possono essere diversi se ciascuno adotta un banco e un metodo di riduzione differente.
Sicuramente due test di Hartmann condotti con analogo algoritmo di riduzione dati e considerando  insieme i punti analoghi per pattern e numero restituiranno letture finali pressochè sovrapponibili.
E’ inutile ricordare come sia quanto meno discutibile chi stima all’oculare e sul campo le differenze dell’ordine di 1/10 di lambda, con buona pace della sua pratica, fama o buona fede.
Sia per il “vecchio” test di Foucault che per il test interferometrico “d’avanguardia” si può parlare di non significatività se non viene comunicato, ad esempio, il numero dei run (quante volte il test è stato effettuato) o rispettivamente: per il primo l’ampiezza della fenditura del Foucault e il numero di zone con esso lette, per il secondo la lambda della sorgente e il numero dei punti in lettura; per entrambi si deve dare garanzie riguardo all’allineamento del setup e la qualità di eventuali beamsplitter o lenti di Ross in uso (un beamsplitter NON è componente neutra per un fascio convergente, la lente di Ross può causare errori di valutazione grossolani avendo tolleranze di posizionamento di pochi punti percentuali su distanze dell’ordine dei 50 mm: occhio quindi a definire il raggio di curvatura di miglior “fit”). Ricordiamo che per il Foucault è di norma impiegata una sorgente continua “centrata” sui 560 nm ca., mentre gli interferometri lavorano in genere a 660 nm ca.: una variazione nell’ordine del 17% non solo sarebbe normale, ma in teoria DOVREBBE esserci, fermo restando che che stiamo confrontando mele con pere………..
Facciamo un semplice esempio, da cui cancelliamo per ovvi motivi di riservatezza, tutti i possibili riferimenti.
Sono test che sono stati fatti eseguire sul medesimo specchio e che ci danno una immagine molto chiara del modus operandi dei molti che non sono professionisti del settore. Un tester di ottiche deve essere un tester professionale, con profonde conoscenze della materia, un utilizzatore delle ottiche si auspica possa/sappia effettuare un controllo di “sorveglianza” per evitare di montare sul telescopio un prodotto fuori norma.
Va detto che – mancando una dichiarazione ben approfondita dei metodi utilizzati per eseguire i test, a parte il tester normato, nessuno di questi può avere l’ultima parola sulla pretesa precisione del proprio lavoro. E’ la differenza che passa tra un dilettante e un professionista. Oldham Optical ha il suo metodo ben descritto e semplice che serve a garantire uno standard qualitativo adeguato, sono poi gli altri che devono dichiarare i loro metodi e normarli.
Abbiamo sottoposto a diverse verifiche un’ottica a specchio molto veloce in Suprax, costruita dalla Oldham Optical, rivolgendoci anche ad un laboratorio professionale che esegue test per osservatori professionali e ne certifica i risultati.

Tester nm PtoV RMS Strehl Metodo
Oldham 550 0,08 0,025 0,98 Double Pass Null in autocollimazione
“A” 532 0,449 0,077 0,79 Interferometro con lente di Ross
“B” 532 0,196 0,047 0,915 Interferometro
Tester professionale 632 0,10 0,016 0,989 Interferometro in autocollimazione

 

Commenti in generale: notiamo subito che i due test effettuati dai tester A e B sono incongruenti e soprattutto con un valore di Strehl (un indice globale che descrive la qualità complessiva della superficie ottica) discrepante da quello dichiarato dal costruttore, sono errati, mentre il test Oldham e la sala metrologica sono congrui (vedi sotto il perchè).
Alla luce di questo abbiamo eseguito il test nr. V, autocollimazione Double Pass Null da un ottico professionista inglese Esmond Reid, data la congruità dei test Oldham e del nr. IV abbiamo chiesto una conferma della correzione PtoV:

PtoV: 0,10 sul fronte

nm: 632

Ora passiamo ad analizzare uno ad uno i test eseguiti (escluso quello della Oldham Optical che teniamo come riferimento), in modo da comprendere i significati e le motivazioni che hanno portato a determinati numeri (si tengano presenti le diverse lunghezze d’onda usate nei vari esperimenti).

Test nr. II (A) – commenti:

questo tester ha usato la lente di Ross introducendo in questo modo del Coma nel sistema. La lente di Ross infatti essendo inclinata rispetto allo specchio da testare ha provocato una diminuzione drammatica dei valori di PtoV, RMS e Strehl. A queste osservazioni il tester ha risposto che non c’era Coma durante la prova. Ma se non è Coma, cosa ha provocato le immagini a forma di “S” che si vedono nell’interferogramma? La stessa asimmetria si vede nell’immagine “3D graphic” sotto forma di torsione della superficie focale mentre nell’immagine “PSF map” e “PSF surface” sotto forma di pattern irregolare.
E’ possibile vedere una rugosità di basso livello nella parte centrale dello specchio, il tester non ha pero’ potuto misurarla a causa del mediocre set up (per esempio l’inclinazione della lente di Ross).
Sapendo che lo specchio era di un newtoniano l’analista avrebbe dovuto chiedere il valore dell’ostruzione del medesimo in modo da coprire l’area centrale e sistemare la lente di Ross correttamente. Il risultato sarebbe stato diverso.
Abbiamo dunque posto delle domande:

  1. se l’asimmetria non è Coma, allora cos’è?
  2. può confermare il metodo del test: single pass con lente di Ross, double pass o altro. Uno schizzo che mostri il layout e le misure è sufficiente.

Non abbiamo avuto risposta.
Il test con la lente di Ross è raramente usato ai giorni nostri, la lente è costruita in funzione della focale dell’ottica da testare e se se ne analizzano le tolleranze, i risultati sono tutt’altro che tranquillizzanti: un errore dell’ordine del 5% (su distanze di 50 mm)  comporta un crollo dei valori dello Strehl da 0,99 del 20% (un primario perfetto diventa appena passabile). In ogni caso da questo test vanno escluse ottiche veloci (guarda caso).

Test nr. III (B) – commenti:

questo tester ha eseguito la prova al centro di curvatura usando un programma di software per interpretare il fronte d’onda. Questo è un test di tipo “single pass”.
La valutazione corretta dell’ostruzione ha dimostrato la buona qualità dell’ottica, ma anche in questo caso scarse sono le informazioni sul metodo e sul set usato (e non solo sul disegno) per determinare i valori. Per esempio il valore PtoV come abbiamo detto va eseguito con diverse misurazioni, non solo: anche la loro disposizione ha un valore fondamentale e finchè non si dichiara anche questo passo il test ha un valore amatoriale e non ha alcuna possibilità di fornire valori confrontabili a livello professionale.

Test nr. IV (Tester professionale) – commenti:

questo operatore professionale ha operato con attrezzature di standard metrologico e in ambiente  normato.
Il test è stato fatto per testare la superficie ottica ma, poichè lo specchio è stato testato in AUTOCOLLIMAZIONE (double pass) e perciò il raggio di luce viene riflesso due volte dallo stesso specchio, i dati della lettura (PtoV e RMS) sarebbero la metà quando lo specchio è usato per guardare il cielo (single pass).
Di conseguenza nel cielo (single pass) le letture sono PtoV = 0,1 fronte d’onda e RMS = 0,16 fronte d’onda, per questo motivo il tester afferma che lo Strehl ratio rimane invariato sia che si misuri la superficie, sia che si misuri il fronte d’onda di ritorno.
Abbiamo poi fatto qualche tracciatura con Zemax su questo specchio rilevando che è praticamente impossibile avere un RMS di 0,032 fronte d’onda ed avere uno Strehl ratio di 0,989. A titolo di informazione un RMS di 0,032 fronte d’onda equivale ad uno Strehl ratio di 0,959.

Test nr. V – commenti:

su questo test c’è ben poco da dire, viene eseguito in autocollimazione e presenta i medesimi risultati del test IV. Quando l’area centrale dello specchio viene coperta dall’ostruzione centrale, produce uno specchio di 1/10 d’onda sul fronte. Il metodo di (IV) e di (V) sono medesimi con la sola differenza che (IV) usa un interferometro per valutare la qualità dell’immagine. Il tester (V) afferma che la superficie è di alta qualità e di bassa rugosità.

Un operatore ottico esperto afferma che:
“nessun operatore del settore si sogna di dare espliciti valoro migliori di 1/10 di lambda PtoV a  seguire i famigerati test interferometrici: proprio il valore 1/10 sul fronte è consolidato essere quello oltre il quale la riproducibilità  e la significatività cadono, da considerare che la configurazione dell’interferometro è pesantemente influente sul valore della sferica residua; se il beamsplitter non è eccelso (e anche i migliori sistemi ospitano beamsplitter piani tipicamente a meno di 1/2  lambda sul fronte a nm 633) solo i sistemi ACP (absolutely common path) annullano i contributi di sferica; il punto è che ora sembra basti avere un sistema che monti un led laser e produca in qualche modo delle frange di interferenza per rivendicare di avere l’ultima parola nel testing”…. una rapida lettura del Malacara subito evidenzia come i vari test abbiano ciascuno una propensione ad infangare strutture su diversa scala e dimensione; anche l’interferogramma viene in ogni caso interpretato per punti (il software identifica e schematizza le frange con un algoritmo che le ricostruisce per punti discreti); NON è il  sistema definitivo; è solo quello, ad oggi, più riproducibile e che, microstrutture a parte, dà una buona lettura di un buono specchio”.
Ma allora come è possibile che un test interferometrico cambi radicalmente i risultati in uno specchio astronomico? Perchè esistono certificati molto lusinghieri (escludiamo qua quelli realizzati in malafede, perchè questo è illegale e perseguibile), beh molto semplice: abbiamo seguito il processo del testing del laboratorio metrologico, ed è stato sufficiente variare qualche parametro per avere numeri molto diversi (ma si può fare molto di più….). Ecco le quattro prove eseguite con un setup normato e da un tecnico professionista dell’analisi ottica, non abbiamo voluto spingerci oltre, ma è già una piccola dimostrazione:

 

TEST 1 – test a tutta apertura, ostruzione rimossa:

PtoV = 0,288
RMS = 0,039
Strehl= 0,942

 

TEST 2 – test al 95% dell’apertura, ostruzione rimossa:

PtoV = 0,253
RMS = 0,035
Strehl= 0,953

 

TEST 3 – test al 100% dell’apertura, ostruzione 120 mm:

PtoV = 0,099
RMS = 0,017
Strehl= 0,989

 

TEST 4 – test al 95% dell’apertura, ostruzione 120 mm:

PtoV = 0,092
RMS = 0,016
Strehl= 0,990

 

Ricordiamo che il test è stato svolto sulla superficie ma in autocollimazione.
Notate come sia facile trasformare, onestamente, i numeri e come sia facile occultare il metodo al cliente, visto che da nessuna parte si specifica mai un protocollo di unificazione.
Quando ci si appoggia a strumentazione elettronica/ottica per eseguire un test di controllo e certificazione è indiscutibile che questi test vadano svolti da persone con la giusta competenza professionale, con la giusta attrezzatura e secondo i protocolli normati che vengono richiesti dal  settore industriale. Tutto il resto è solo cialare di poco conto e di nessuna importanza.
Riportiamo dal sito di Oldham Optical il suo pensiero, che ricordiamo ha 20 anni di esperienza in proprio sulla costruzione delle ottiche e che ricalca anche il pensiero di altri rinomati costruttori.
“I test svolti dalla Oldham Optical danno risultati che si avvicinano molto a quelli di un altro utilizzatore di Double Pass Null. Riteniamo che l’utilizzo del Double Pass Null da parte di operatori diversi dia risultati simili e attendibili e che la precisione sia sempre intorno a 1/30 di lambda o superiore, mentre i test fatti da diversi utilizzatori di Interferometri danno risultati discordanti e poco attendibili.
Secondo noi gli Interferometri vanno bene quando la precisione richiesta è superiore alla lunghezza d’onda ma, per gli specchi astronomici, dove la precisione richiesta è una piccola frazione di lunghezza d’onda, i risultati dipendono molto dalla qualità dell’attrezzatura e dall’abilità dell’operatore.
In ogni caso c’è sempre un limite alla precisione determinato dalle ottiche supplementari presenti nell’Interferometro e, in linea di massima, i  risultati ottenuti sono sempre peggiori di quelli del  Double Pass Null.
Quando i risultati dell’Interferometro indicano la presenza di una grande gobba al centro dello specchio è probabile che questa dipenda dall’impostazione o dall’uso dell’interferometro stesso. Negli interferogrammi non è rara la presenza di artefatti.
Quando invece uno specchio ha più di 1/4 di lambda PtoV, ed i risultati all’Interferometro sembrano mostrare problemi alle estremità dello specchio ed asimmetri, in realtà questi difetti sono spesso dovuti ai problemi sopracitati.
Noi crediamo che il test Double Pass Null è preciso e dà risultati attendibili e costanti anche se effettuato da operatori diversi e riteniamo che il nostro punto di vista sia condiviso dai più grandi produttori di specchi” (vedere Argomenti Tecnici per la spiegazione completa).
Ma è meglio essere precisi: fra i non interferometrici sicuramente l’Hartmann è quello più affidabile e quello che, se si vuole, può essere riprodotto in modo pressochè sovrapponibile. Il Lyot restituisce una lettura su scala molto piccola. restando cieco a errori anche gravi; il Foucault è il più versatile e quello con maggior copertura di scale, ma anche quello con maggior difficoltà di interpretazione.
I vari metodi di controllo non sono antagonisti tra di loro: fermo restando che ciascuno ha un suo migliore ambito d’uso e una sua comodità (l’interferometro in genere si usa su superfici “finite”, il Ronchi è utilissimo nella fase di prima figurazione, il Lyot è stato fondante per i prismi interferenziali in quarzo…) resta che i risultati devono comunque essere fra loro confrontabili fatta eccezione per le letture fuori norma (ma è normale anche in sede di run di lettura al Foucault togliere i valori fortemente discordanti).
Quello che veramente conta è comprendere come il tecnico sia arrivato a determinare una precisione e constatare poi nell’uso pratico che le ottiche performino come dovrebbero.
E allora i nostri test? Non valgono niente! Semplicemente perchè, a parte uno e a parte il costruttore che usa un metodo ben dichiarato e supportato dalla letteratura tecnica, nessun ottico professionista si sognerebbe di mescolare delle relazioni che non riportano tutto il contorno informativo necessario e che non utilizzano metodi e protocolli che sono considerati il minimo standard in metrologia ottica. E questo non è ovviamente solo un parere di NortheK, ma la chiara presa di posizione di professionisti della produzione ottica (anche non astronomica). Per tale ragione se il metodo non condiviso è il Double Pass Null diremmo che bisogna lasciar stare l’interlocutore: se non va bene quello, allora non va bene niente, giusto che non è in grado di capire di cosa sta parlando.
Pensate che tra un’ottica corretta a 1/4 e 1/8 di PtoV riuscireste ad accorgervi della differenza? Noi siamo sicuri di no, e vi sfidiamo a dimostrarlo. Un parametro conveniente ed intuitivo è lo Strehl ratio, che racchiude in un solo numero svariati  parametri significativi ai fini della qualità globale. Per questo è comodo per descrivere le ottiche amatoriali.
D’altra parte lo Strehl ratio non è misurabile direttamente e i vari algoritmi per determinarlo possono giungere a differenze talvolta anche notevoli, soprattutto quando non è descritta in dettaglio la procedura di acquisizione e riduzione dati e gli algoritmi usati. Cruciale, anche qui, impiegare un operatore preparato, di fiducia, e che per qualsiasi questione o dubbio presti ampia assistenza al cliente.
Inoltre il RMS dà anch’esso una buona idea generale della qualità delle superficie. Gli altri test relativi alla rugosità per esempio, si prestano facilmente  alle manomissioni potendo aumentarla o diminuirla con degli artefatti su banco ottico, e – ad esempio – ci si dovrebbe domandare perchè alcuni produttori di massa hanno superfici molto levigate pur usando metodi e prodotti uguali ad altri che vengono sempre stroncati come produttori di superfici rugose.
Per maggior chiarezza diciamo che il PtoV è interessante soprattutto per le piccole ottiche amatoriali; ma un costruttore minimamente serio sa che oggi è un valore che da solo è largamente insufficiente appena vuole garantire un’ottica appena più che decorosa.
Non è compito di questo testo entrare nei dettagli, che lasciamo al singolo lettore che ne ha le competenze e la voglia……..
Nota: la documentazione relativa ai test sopra riportati è conservata presso NortheK, non si è ritenuto opportuno pubblicarla per non violare la riservatezza dei tester amatoriali. Naturalmente tutto quanto riportato come esito dei test è dimostrabile anche in sede giuridica, e con questa documentazione esiste anche il carteggio che dimostra l’iter da noi seguito per eseguire le prove, la corrispondenza, i documenti di trasporto con i relativi destinatari, ecc.

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