Alcuni cenni sul tema delle inerzie termiche in un telescopio amatoriale
Un tema fondamentale nella costruzione e progettazione di uno strumento, con lo scopo di poter performare al massimo le prestazioni dell’ottica, è quello relativo delle termiche attinenti al tubo ottico.
Ci riferiamo ovviamente sia ai problemi di raggiungimento e mantenimento della termostatazione di masse vetrose, e alla eliminazione della colonna d’aria calda insistente nella parte meccanica.Nella realtà il problema è ancora piu’ complesso. Occorrerebbe parlare del materiale con cui è costruita la meccanica, del delta termico tra ambiente esterno (variante nel corso della sessione osservativa), e della massa vetrosa fondamentale soprattutto in diametri e spessori cospicui.
Compatibilmente con i costi di realizzazione, ciascuno cerca di affrontare questo tema nel modo piu’ semplice e funzionale, ed è in realtà uno dei fattori fondamentali che possono pregiudicare anche un buon strumento ottico. Molti amatori non si rendono conto di quanto questa problematica sia deleteria.
Alcuni hanno spiegato in modo molto scientifico e chiaro, in innumerevoli scritti, la formazione e il comportamento di queste termiche all’interno del tubo di un telescopio, hanno anche dato indicazioni preziose su come ridurre il fenomeno, almeno in alcuni schemi ottici e per alcuni diametri.
Per quanto ci riguarda abbiamo cercato di seguire alcuni criteri costruttivi, meno restrittivi nei diametri piccoli, ma molto piu’ sofisticati in ottiche con diametro superiore ai 300 mm., in modo da ridurre il piu’ possibile l’interferenza di questo fenomeno con le prestazioni delle ottiche utilizzate. Ridurre il fastidio delle inerzie termiche non è ne semplice ne economico, occorre inoltre prevederlo già in fase di progettazione iniziale, proprio per non dover stravolgere strutture accuratamente costruite. Nel proseguimento di questo argomento cercheremo di approfondire gli aspetti tecnici del problema, lasciando da parte per il momento tutta la parte delle considerazioni di base che risulterebbero troppo tediose ai lettori.
Molti telescopi amatoriali non performano in modo adeguato per due motivi principali:
la scollimazione;
il non controllo delle termiche dentro il tubo.
Considerati questi due assunti, possiamo tranquillamente dimenticarci per un po’ del grado di correzione delle superfici ottiche, dell’ostruzione, ecc. Risolti questi due temi, risolveremo il terzo ancora fondamentale che è il mantenimento degli assi ottici.
Quando parliamo di termiche dentro il tubo del telescopio, i lettori si rendono ben conto della questione, ricordando sicuramente il ribollire delle immagini che non vogliono sapere di star ferme, oppure delle piume di calore che infestano tutti gli star test e non solo. Ci sono moltissimi modi per padroneggiare il problema, riducendone la potenza devastatrice sul fronte d’onda, alcuni semplici ed economici, altri costosi e complicati, ma comunque chi costruisce uno strumento, o lo acquista, e non ne tiene conto, andrà inesorabilmente incontro a risultati molto scarsi, indipendenti dalla qualità ottica e dal prezzo del telescopio.
Come in tutte le materie, anche nella tecnica strumentale esistono delle regole di base a cui occorre attenersi. Le abbiamo già elencate, e sono quelle regole che diversificano il giocattolo dallo strumento tecnico anche se amatoriale. Non è il caso di affrontare in questa sede esposizioni estremamente complesse, perché chi ha la padronanza di capirle e applicarle, le trova facilmente in molti testi specialistici, tuttavia pensiamo che dare una impronta di base che serve anche negli accorgimenti più semplici, sia molto utile per chi usa e possiede telescopi di limitate dimensioni.
fig. 1 – un test per la collimazione di uno specchio che ha quasi raggiunto il giusto equilibrio termico.
Il primo assunto: nessun telescopio e nessun schema ottico è esente dal problema delle termiche (o correnti d’aria dentro il tubo, o differenziali termici tra il vetro e l’ambiente esterno, o trasmissione del calore del corpo umano in prossimità del fronte d’onda, o………).
Il secondo assunto: il problema delle termiche è risolvibile in parte a livello tecnologico, in parte a livello metodologico. Il primo può costare poco o tanto, il secondo non costa nulla ma diventa l’esame di quinta elementare per l’astrofilo (quando si faceva..).
Stabiliti questi due capisaldi del ragionamento, si puo’ iniziare a sviluppare un pensiero che poi il lettore potrà proseguire per proprio conto, approfondendo bene ogni singolo aspetto su testi specialistici e magari sperimentando un pochino sul proprio telescopio bello o brutto che sia. In due articoli precedenti abbiamo parlato della intubazione dei telescopi riflettori, in linea molto generale e divulgativa. Cerchiamo ora di approfondire alcuni temi, in questo caso la termostatazione, che fanno parte dell’insieme delle regole di base per costruire o comperare un telescopio. Il mercato offre di tutto, a qualunque prezzo, e a qualunque prezzo offre anche costruzioni che non hanno un senso tecnico ben preciso, se non massimizzare l’utile per il costruttore.
Il primo argomento da considerare non è quello relativo alla meccanica, bensi’ all’ottica. Non è difficile comprendere per chiunque che nel caso di uno specchio spesso 50 mm rispetto ad uno spesso la metà avremo comportamenti termici molto diversi, così come un doppietto acromatico si stabilizzerà molto più velocemente di un tripletto o altro schema provvisto di correttore…….e non dimenticate gli oculari che non vanno tenuti in tasca. Ci concentriamo per ora sui sistemi a riflessione, in quanto per quelli a rifrazione esistono pochissimi margini di intervento, e solo i costruttori più coscienziosi (che non sono in automatico i più famosi) implementano meccaniche che considerano questo aspetto, dando per scontato che ne abbiano la padronanza.
Prendiamo come esempio un telescopio riflettore avente un diametro di 250 mm, la focale non ci interessa e nemmeno lo schema ottico. Con un’ottica standard avremo uno spessore di 50 mm. circa e un peso di 4,5 kg circa, con un vetro di 23 mm di spessore avremo un peso di circa 2,4 kg. Da questo punto cominciamo a capire la differenza delle masse vetrose in gioco. Ma allora perché usare specchi di 50 mm.? Molto semplice: sono più facili da lavorare, la meccanica è molto semplice perché non tendono a deformarsi, il rovescio della medaglia è che pesano di più, non sono quasi mai in equilibrio termico, con buona pace dei parametri ottici del costruttore. Perché non tutti usano ottiche da 23 mm? Ovviamente perché se un’ottica di questo tipo non è montata meccanicamente molto bene darà seri problemi di deformazione della figura geometrica. E’ un gioco di equilibri che solo il costruttore può decidere e che solo il cliente può accettare o meno.
fig. 2 – Una cella portaspecchio anni 70 – a tre triangoli in moquette era affidato il sostegno del disco di vetro, spesso 46 mm. In questo caso l’inerzia termica era del tutto incontrollabile.
Il portare ad un buon equilibrio termico lo specchio non ci esenta dal tenere presenti tutti gli altri problemi di cui si è già parlato, e cioè la meccanica che deve permettere di collimare finemente, l’assenza di torsioni e flessioni, il mantenimento degli assi, ecc. Ecco dunque che messe tutte le carte sul tavolo la questione si complica e non poco.
fig. 3 – ronchigramma disturbato dal calore di una mano posta di fronte allo specchio. Sul banco ottico per specchi di dimensioni consistenti (da 400 mm in su) anche il calore del corpo umano a 3-4 metri Di distanza puo’ dare deformazioni erroneamente imputate a errori di configurazione.
Quali sono gli elementi che determinano un andamento difforme della curva termica all’interno e nel nostro tubo ottico? Ovviamente la temperatura esterna (variabile durante la sessione osservativa e costretta del luogo in cui si osserva e dalla vicinanza dell’osservatore in taluni casi), la struttura meccanica del tubo in senso generico (quindi materiali, flussi dinamici interni ecc.), il vetro, e per ultimo lo schema ottico ma non sempre va messo per ultimo perché il caso di un menisco spesso…….prevarica altri elementi. Nel nostro piano di costruzione o di scelta strumentale potremo così stilare una check list con tutti questi elementi e, via via, depennare quelli che non costituiscono un problema ed evidenziare quelli che sono un problema. Non sta all’utente farsi studi approfonditi sul comportamento dei materiali in un telescopio, bensi’ al costruttore, che deve essere in grado di motivare con parole semplici e molto chiare ogni sua scelta progettuale, la discriminante può essere a volte anche solo il costo, ma questo l’utilizzatore deve saperlo a priori.
Il primo aspetto, anche più facile da ragionare è quello relativo agli spessori dei vetri. Facile perché basterà chiedere al nostro ottico di stare sul “fine” se vuole, e se non vuole dovremo ripiegare in sistemi di correzione termica alternativi. Da questo spessore dipende poi anche la meccanica. Attenzione: facciamo una esposizione un po’ semplicistica e ristretta essendo questa una rivista di divulgazione e non un testo per specialisti, ce ne scusiamo con tutti coloro che hanno competenze per andare oltre a quanto esponiamo. Rimaniano sul nostro specchio da 250 – vetro pyrex (oggi non si produce più, al suo posto Schott propone il Supremax 33 di costo elevato ma di caratteristiche analoghe). Per rendere il concetto semplice ed immediato abbiamo usato un programmino free a cui raccomandiamo ai nostri lettori di andare a giocarci un po’ considerando anche i diversi tipi di vetro e non solo gli spessori (www.cruxis.com e il programmino free è Telescope Mirror Cooling).
Primo esperimento, giusto per non ingenerare confusione e permettere a tutti di ripeterlo (perché è bello vederlo in azione) non abbiamo toccato nessun parametro di base che ci da il programma, giochiamo solo sullo spessore del vetro.
Vetro da 50 mm di spessore:
fig. 4 – specchio da 50 mm. in pyrex
Osserviamo questa immagine: dopo 120 minuti lasciati di default il profilo termico del nostro specchio NON ha ancora raggiunto il target di 10° C che ci siamo imposti, anzi è ben oltre di un grado e mezzo (la norma chiede 0,5° C di delta massimo ma sono sempre difficili da raggiungere e mantenere).
fig. 5 – specchio 50 mm. in pyrex – andamento della temperatura
Ora osserviamo questa ulteriore elaborazione. Vediamo che siamo partiti da 20° C e dopo 120 minuti siamo finiti a circa 11,5°, ma osservate con attenzione la linea rossa che è quella che rappresenta il “cuore” del nostro disco di vetro. Solo verso la fine della curva tende ad avvicinarsi alle altre due e comunque il delta termico rimane parecchio elevato ancora. In queste condizioni quanto pensate sia importante la correzione ottica del vostro specchio? Osservate anche, in fig. 4, che la linea rossa è leggermente bombata e scopritene il motivo.
fig. 6 – specchio 25 mm. in pyrex
In questa immagine da confrontare con la 4 abbiamo mantenuto i medesimi parametri, riducendo lo spessore del vetro a 25 mm. Vediamo subito che dopo 120 minuti siamo arrivati alla temperatura target di 10° C. La linea rossa è perfettamente piana…….
fig. 7 – specchio 25 mm in pyrex – andamento della temperatura
Anche in questo caso vediamo il perfetto riscontro delle tre linee con una stretta vicinanza tra di loro e una rapida discesa al valore prefissato, praticamente inesistente il problema del “cuore” del disco di vetro. Stabilità teorica del disco praticamente raggiunta.
Al termine di questo primo grossolano esperimento abbiamo dimostrato quello che era già logico pensare, ma – soprattutto – abbiamo dimostrato che per quanto riguarda il disco di vetro nudo e crudo – lo spessore ha un valore fondamentale e che da esso dipendono molte delle performances del nostro telescopio. Andate nel programma che vi abbiamo indicato e provate a cambiare i vetri e gli spessori, poi confrontate i vari diagrammi, è sicuramente molto interessante il processo per rendersi conto di quanto la questione abbia il suo peso, poi occorre sviluppare il ragionamento con tutto il contorno, qui dice solo come si comporta un disco di vetro in determinate situazioni (cambiate anche la temperatura di mantenimento, per esempio i 20° portateli a 15 o 13° come in un garage e poi guardate).
Abbiamo visto alcuni elementi di considerazione sul comportamento dei dischi di vetro in funzione della loro temperatura e della temperatura ambientale, questo è di riflesso anche un comportamento del fronte d’onda riflesso dalle nostre ottiche. Senza voler appesantire eccessivamente il nostro percorso illustrativo è interessante considerare che un ulteriore elemento “passivo”, cioè non dipendente dagli elementi esterni di termostatazione, oltre allo spessore del vetro è anche quello relativo al tipo del medesimo. Sugli obiettivi a rifrazione c’è ben poco da fare: i vetri vengono scelti in funzione del funzionamento e delle prestazioni ottiche finali, mentre per i riflettori il discorso cambia. Ogni tipo di vetro per specchi ha un comportamento ben preciso, prestazioni identificabili durante la lavorazione e configurazione, prestazioni in relazione all’ambiente in cui opera. Detto questo, rimane in sospeso il problema del prezzo che è la nota dolente per gli astronomi dilettanti, ma molto meno di quello che si pensa in generale…….volete un esempio?
Come vedete dai grafici e dal programmino che abbiamo messo precedentemente, ci viene chiesto il tipo di vetro su cui poter applicare le formulette per il calcolo del tempo di acclimatamento. Resta che molto spesso con pochi euro si ottengono in automatico risultati molto migliori. Nella tabellina indicativa che segue mettiamo un esempio simbolico di cosa intendiamo, e dimostriamo come a volte le scelte industriali sono guidate da miserrime economie di scala che forse non pagano nei confronti di utenti un pochino attenti.
Abbiamo semplificato al massimo la tabella, guardate in particolare i valori di dilatazione termica e il prezzo indicativo, e da queste due colonne traete le opportune conclusioni. Mancano alcuni vetri di produzione Russa e il Clearceram-Z Ohara ad alte prestazioni (e costi di conseguenza), e altri che sono cloni di vetri riportati. I marchi sono di proprietà dei relativi produttori. Più è alto il valore di dilatazione termica e più il vetro è soggetto a deformazioni meccaniche della sua geometria, dovute al variare della temperatura.
Possiamo dunque dedurre che, per esempio, l’uso di vetri in BK7 negli specchi è un non senso finanziario visto che performa sul fronte termico molto male, rispetto ad un Suprax che ha un costo quasi analogo e un valore di dilatazione termica che è poco più della metà. Anche i fortunati possessori di specchi in ULE o Zerodur devono comunque termostatare il loro telescopio, anche se in modo meno drammatico che non tutti gli altri.
Chiudiamo quindi la parte realtiva ai vetri. Nel web trovate molte pubblicazioni che dimostrano come la correzione ottica di uno specchio non stabilizzato termicamente, viene praticamente distrutta. Meditate su questo, prima di richiedere certificati dai mirabolanti valori di correzione.
Il nostro telescopio deve dunque raggiungere in meno tempo possibile due situazioni termiche ben precise:
il disco di vetro, o i dischi …… devono raggiungere una temperatura uniforme in tutta la massa pari a quella dell’ambiente in cui si opera;
il disco di vetro, o i dischi……. devono seguire l’andamento della temperatura ambientale durante la sessione osservativa.
E se questo non accade? Beh la risposta è semplice perché avremo deformazioni sul fronte d’onda molto importanti (più di quanto possiate immaginare), con la relativa distruzione dell’immagine o degradazione sempre più importante a mano a mano che i delta termici si ampliano. In un telescopio a corta focale dedicato magari alle riprese fotografiche a largo campo, questo effetto è meno sentito, mentre si avverte moltissimo quello relativo alla variazione del fuoco durante l’esposizione, mentre in un telescopio dedicato all’alta risoluzione (quindi Luna, pianeti ecc.) questo è uno degli elementi DETERMINANTI per ottenere risultati interessanti senza dover poi coprire il tutto con super elaborazioni che noi preferiamo chiamare artefatti.
fig. 8 – in questa immagine del Mirror Lab si nota la posa dei blocchi ceramici sui quali verrà fuso il blank di vetro. A raffreddamento ultimato i blocchi vengono rimossi e le cavità alleggeriranno di molto il peso del disco vetroso, riducendo spessori e tempi di adattamento termico. In questo caso si tratta di borosilicato E6 della Ohara. Nel telescopio NTT ESO si è anche sperimentata la tecnica di insufflare correnti forzate di aria fredda dentro le celle posteriori, in modo da rendere più veloce il raggiungimento della curva termica ottimale. Una ventilazione forzata “dentro” il disco di vetro.
Se abbiamo scelto, in funzione delle possibilità finanziarie di ciascuno, un vetro di discrete prestazioni, come ad esempio il Suprax fino a 300 mm. di apertura e con spessori limitati, o il Supremax 33 (o analoghi ovviamente) per diametri maggiori e spessori un po’ più elevati, il resto della partita ce lo giochiamo sulla struttura costituente il tubo ottico. Per i più fortunati ovviamente il problema è meno pesante: vetroceramico, ULE, ecc. Va anche detto, per onestà intellettuale, che produttori di ottiche di alto livello considerano che in ambito amatoriale e anche professionale fino a certi diametri, che un vetro di prestazioni simili al Pyrex sia più che sufficiente ad ogni esigenza. Leggete le belle monografie di Bob Royce su questo argomento, e che trovate nel suo sito, ad esempio, oppure quelle di Oldham Optical più sintetiche ma molto “pragmatiche”.
In che modo possiamo fare affinché, magari mentre ci prepariamo alla osservazione, il nostro tubo ottico si assesti termicamente, così da poter controllare la collimazione ed iniziare ad osservare?
Per prima cosa chi ha la postazione fissa sa bene che deve aprire l’osservatorio qualche ora prima, far partire i sistemi di ventilazione forzata ecc., ma per tutti gli altri che tengono il telescopio in casa un ottimo metodo da seguire è quello di NON conservarlo in casa se possibile. Mettetelo in garage dove la differenza tra esterno e interno è inferiore, dovrete recuperare meno gradi di differenza e risparmierete molto tempo. Un secondo aspetto è quello di portare il telescopio in giardino almeno un paio di ore prima del suo utilizzo (per esempio prima di cena……), far partire i sistemi di raffreddamento che ogni costruttore coscienzioso ha implementato, e lasciarli operare tranquillamente. I risultati saranno ondivaghi da telescopio a telescopio. Chiaramente un tubo chiuso di un catadiottrico ci metterà parecchio ad acclimatarsi e comunque NON seguirà la curva termica del sito osservativi, questo è anche dovuto al tipo di meccanica utilizzato.
fig. 9 – Un innovativo telescopio Schmidt Cassegrain modificato che implementa delle prese d’aria laterali per l’espulsione dell’aria calda insistente all’interno del tubo. Sotto la mascherina ovale non ci sono le ventole di aspirazione (cortesia Celestron).
Un sistema a menisco,spesso magari 15 o 20 mm, è fortemente sconsigliato per chi non ha una postazione fissa e una meccanica che consideri profondamente queste problematiche. Un newton a tubo chiuso (inteso come tubo monolitico) è molto facile portarlo in termica, meglio se ha un bel truss, cosi’ per tutti i sistemi aperti. Attenzione: questo non esenta dall’avere a disposizione il sistema di ventilazione forzata che comunque è indispensabile. La soluzione presentata in fig. 9 (applicata ad uno strumento fotografico) è grosso modo significativa di quello che si intende, notare che nonostante il vetro sia esposto all’atmosfera, il sistema è provvisto comunque di ventilazione forzata, in modo da poter ridurre il più velocemente possibile la lastra (25 mm di spessore) all’equilibrio termico richiesto.
fig. 10 – Un telescopio professionale da 600 mm. di apertura con ottiche Zeiss.