Categoria: ARGOMENTI TECNICI MECCANICA

Utilizzo delle fibre composite (1° parte)

Sempre più frequentemente si nota l’introduzione nel mercato di componenti in fibre composite, nella fattispecie parliamo qui di compositi in carbonio. Occorre conoscere a fondo caratteristiche e limiti di questi compositi per valutarne appieno il giusto apporto di innovazione e di prestazioni, senza farsi attrarre da facili mode o richiami pubblicitari. Di norma si utilizzano questi materiali solo per strumenti di pregio, le motivazioni sono:
1) il costo molto elevato;
2) la difficoltà di costruzione di molte parti senza una adeguata attrezzatura, anch’essa dal costo elevato;
3) la limitata tiratura dei componenti che automaticamente elimina alcune tecnologie, atte ad ottenere minori costi e maggior livello qualitativo;
4) scarsa conoscenza della tecnica e delle sue applicazione da parte di molti assemblatori di strumentazione;
5) difficoltà di reperimento della materia prima in determinati pesi, misure o disegni.

Occorre ricordare che costruire un elemento in composito richiede perizia, attenzione (molti composti sono tossici e nocivi), molta manualità e molti tentativi andati a vuoto. Tutto questo ovviamente abbinato alla giusta attrezzatura. Non vale la pena di rischiare materiali molto costosi senza l’impiantistica necessaria. Il più delle volte sarà spreco di denaro o risultati non all’altezza delle aspettative. Diciamo questo perché – ad esempio – costruire un tubo in carbonio è un’impresa alla portata di tutti; costruire un tubo che non si deformi e mantenga integre tutte le sue caratteristiche meccaniche e fisiche e che, soprattutto, esalti le prestazioni del composito, non è assolutamente alla portata dell’amatore comune.
Esistono in Italia e nel mondo molte aziende specializzate nella fornitura di componenti standard in composito, si tratta sempre di materiale ben realizzato ma di limitato impiego, sia per le misure disponibili (diametri e spessori), sia perché non viene effettuata a volte la vendita a privati, ed anche perché le piccole quantità non sono quasi mai contemplate nei listini.
Sta circolando nel mercato europeo del tessuto o dei manufatti definiti in carbonio, che col carbonio centrano proprio poco. A parte il costo che è infinitamente inferiore, pure le prestazioni lo sono, tanto da vanificare del tutto le prestazioni del composito. Si tratta – quasi sempre – di fibre ottenute da normali poliesteri alta tenacità più o meno mescolati con un po’ di tutto (kevlar ad esempio), così da dare “tono” al risultato finale, ma con lauti guadagni per chi li vende. In guardia quindi prima di acquistare, infatti proprio nel nostro settore – dove i produttori non corrono rischi (come ad esempio nel settore auto, o aeronautico) – molti potrebbero essere attratti da prezzi particolarmente interessanti, assolutamente non possibili in questo momento dove la materia prima è aumentata del 50% in meno di un anno e dove, chi produce, può scegliere tra il miglior offerente. Dall’estremo oriente arrivano manufatti e tessuti molto ambigui. Anche in Italia e Europa circolano prodotti strani (es. White Carbon colorato che sottoposto ad analisi non è altro che fibra di vetro). Il settore più colpito è quello degli amatori del settore auto e moto, dove la mania del carbonio è esplosa, ma le competenze sono veramente poche, e così improvvisati produttori spacciano manufatti molto discutibili ricoprendo semplice fibra con un foglio sottile di carbonio senza dichiararlo, oppure usando gel coat appositi riescono a fornire un prodotto esteticamente gradevole ma di basso valore a prezzo astronomico. Diciamo anche che in questi settori la competenza degli utilizzatori è ricavata da riviste del settore, non certo – nella maggioranza dei casi – da testi o ricerche adeguate. Chi scrive ha visto prodotti che definire cianfrusaglia è il minimo, acquistati con entusiasmo da clienti un po’ sprovveduti. E’ estremamente importante richiedere al venditore un certificato sulla composizione del manufatto, e per quanto riguarda il carbonio una dichiarazione che ne attesti la provenienza (es. Toray, SGL, ecc.).
Ma prima di proseguire questa disamina sui materiali compositi è bene porsi un quesito fondamentale: quando è necessario o migliorativo acquistare componenti in materiale composito?
Prima di tutto tralasciamo il fattore estetico. Questo argomento non è per noi interessante in ultima analisi. Un tubo in carbonio se ben realizzato è molto bello, ma in piccoli rifrattori – ad esempio – serve a poco o a niente, sia dal punto di vista prestazionale che dal punto di vista del peso. E’ invece molto indicato per un fattore puramente estetico. Quindi arte ma non tecnica in questo caso, di questo ci si deve rendere ben conto.
Rimane il fattore delle prestazioni. Crediamo che le prestazioni non possano essere disgiunte dall’elemento costo. Un buon manufatto in carbonio ad esempio ha costi molto alti e se correliamo prestazioni massime dello strumento con i costi dei componenti, ci accorgiamo immediatamente che sotto certe dimensioni non è che valga poi tanto la pena, ovviamente per chi non ha interesse a considerare l’elemento costo, questo discorso cade. Da quanto detto precedentemente, e considerando che si lavora sempre su di un numero limitato di pezzi, chi scrive ritiene interessante l’utilizzo dei materiali compositi solo in strumenti di dimensioni medie, qui questi materiali saranno in grado di mostrare la vera “differenza”, rispetto ai più comuni materiali usati (ergal, inox, ecc.).
Naturalmente esiste tutta una schiera di appassionati che, piccolo o grande sia lo strumento, lo vogliono perfetto, e qui ovviamente le aziende lavorano per accoglierne le richieste, come in qualsiasi iniziativa commerciale. L’astronomia è fatta anche di piccoli piaceri, come lo è per chi è appassionato di altre materie e che pretende sempre il meglio di ciò che il mercato può offrire.
Tipico l’esempio di una marca famosa che offre il cavalletto rivestito in carbonio. Ora rimane da domandarsi l’utilità di questa operazione dal punto di vista tecnico: non vi sono apprezzabili miglioramenti prestazionali, non vi è migliore protezione dagli agenti atmosferici, insomma non vi sono plausibili spiegazioni se non quella relativa ad una accurata operazione di marketing.
Questo esempio non serve ad inficiare la bontà dei prodotti offerti, in quanto i produttori non mettono a repentaglio la propria reputazione commerciale per piccole economie di scala, ma per far capire che in fondo quel che conta è conoscere bene ciò che si acquista e di acquistarlo a ragion veduta.
Definizione di composito: struttura composta da un materiale coeso con adesivi. Questa non è una definizione da vocabolario ma quella rispondente alla realtà concreta del mercato.
Come è “composto” un composito: ne esistono molti tipi, diremo che il più comune è quello in fibra di vetro (2580 migliaia di tonnellate nel mondo anno 2005), usato in tutti i settori possibili ed immaginabili, visto il basso costo e la facilità nella lavorazione, la nautica è un grande consumatore di questo prodotto, seguita da settori importanti ed enormi, come ad esempio le plastiche rinforzate. Segue a ruota il composito in carbonio, tutt’ora considerato mercato di nicchia in quanto rappresenta non più del 5% del mercato globale dei compositi (da notare che il consumo di fibre in carbonio dal 1985 al 2000 è aumentato del 384% rispetto al 204% dei compositi in vetro, pur rimanendo quantitativamente marginale rispetto alle seconde).
Nella nostra disamina ci riferiamo sempre e comunque in compositi a base di carbonio, legati eventualmente con fibre aramidiche, poliesteri, metalli. Ora andiamo un po’ più in dettaglio sulla costruzione tecnica di un composito, ovviamente prenderemo in esame solo molto sommariamente l’argomento, gli approfondimenti richiederebbero volumi e comunque non interesserebbero il lettore.
I vantaggi di un composito sono prevalentemente:
alta resistenza in relazione al peso (una lamina di carbonio è da 4 a 6 volte più resistente di una eguale in acciaio o alluminio);
alta rigidità in relazione al peso (una lamina di carbonio è da 3 a 5 volte più rigida di una eguale in acciaio o alluminio);
grande resistenza all’affaticamento meccanico continuo;
bassa corrosione;
eccellenti caratteristiche di resistenza all’umidità;
grande versatilità costruttiva. Il carbonio appartiene alla famiglia delle fibre inorganiche, che possono a loro volta essere metalliche o non metalliche. Le fibre inorganiche sono ininfiammabili, molto resistenti, purtroppo fragili (ad esclusione di quelle trattate con carburo di silicio) e hanno un elevato punto di fusione. I limiti nel loro impiego sono dati soprattutto dalle caratteristiche ben precise sopra indicate. Il loro comportamento è sempre ottimo in ambienti ad alte temperature e in atmosfere acide.
Il diametro di ogni singola fibra oscilla tra i 5 e i 15 micron (fino ai 100-150 micron per le fibre di boro e di carburo di silicio). Naturalmente il diametro della fibra è importante per determinare la sua resistenza: essendo fragili mostrano un incremento della resistenza al diminuire delle dimensioni trasversali. I filamenti di carbonio si ottengono a partire da fibre organiche, poi degradate termicamente.
Nel caso di utilizzo delle fibre come rinforzo si usano filati da 3000 a 12000 fibre, cioè un filo è composto da 3000 a 12000 fili più sottili, (indicate tecnicamente come 3K – 12K). Per completezza al lettore mostriamo una tabella riassuntiva delle fibre inorganiche:

FIBRE INORGANICHE SIGLA
Carbonio CF
Vetro GF
Metallo MTF
Boro BF
Silice SiC
Carburo di Silicio SiC
Ceramica CER

 

Ma ancora più interessante è verificare la differenza tra le varie fibre, anche se questo poco influisce nell’uso astronomico, ma vale più per una conoscenza personale:

TIPO DI FIBRA DENSITA’ gr/cm3 TENACITA’ (Mpa) MODULO GPa
  Min. Max Min. Max Min Max
Vetro – GF 2,5 2,62 3400 4500 70 70
Carbonio – CF 1,76 2,10 2000 7000 240 700
SiC 2,55 3,50 2000 3700 200 420
Ossidi 3,9 3,9 1200 1400 340 400

 

A titolo puramente conoscitivo diremo che un filamento di carbonio rivestito, col metodo del plasma, di carburo di silicio raggiunge caratteristiche meccaniche, in ambiente termico, praticamente raddoppiate ad analogo non rivestito. Vediamo ora il comportamento delle varie fibre ai carichi:

CARICO STATICO CARICO DINAMICO RESISTENZA
FIBRA TERMICA
tenacità Modulo
Traz. Fless. Compres. Traz. Fless. Compress. Impat. Fatica  
+  =  + –  –  – +    – =  VETRO
=  –  – =  =  = =    = –  ARAMID.
+  +  = +  +  + –    + +  CARBON.

 

E quindi una ulteriore tabella riassuntiva:

  VETRO ARAMIDICHE CARBONIO
Densità (g/cm3) 2,5 1,45 1,8
Resistenza (Mpa) 2000-4000 3000 3000-5000
Modulo (GPa) 50-80 70-130 200-500
Allungamento (%) 4-5 2-4 0

Glossario veloce:

g/cm3 = il peso in grammi di un centimetro cubo;
Resistenza Mpa = indica la rigidità di un materiale. Più il valore è alto piu’ un materiale è rigido. Si esprime in Mega Pascal (Mpa). Norma ISO 527;
Modulo = indica il comportamento di un materiale sollecitato in flessione (elastico o rigido);
Allungamento = ISO 527, espresso in percentuale, corrisponde al rapporto della lunghezza iniziale del provino sollecitato in trazione.

 

Ma un’altra tabellina interessantissima, e che si ricollega al discorso della qualità del manufatto, ci dimostra come un prodotto di elevate caratteristiche non può essere a basso prezzo:

TIPOLOGIA FIBRA MODULO GPa $ KG./MIN.
Standard (12 K) 220-240 80
Modulo intermedio (12K) 275-345 100
Alto modulo (12 K) 345-480 160
Ultra alto modulo (12 K) 480-970 1500

Per intenderci l’alto modulo è quello usato per le biciclette in carbonio ad esempio, ma solo in alcune parti (forcelle) per l’elevata resistenza che offre, l’ultra alto modulo è usato in formula uno, alcune componenti aeronautiche, ecc.. Per uso astronomico è sufficiente lo standard, salvo componenti molto critiche in grandi strumenti.
Il lettore guardi la tabella e consideri che si sta solo parlando del filamento privo di ogni lavorazione. Ma proseguiamo ad analizzare e a paragonare il nostro manufatto in composito con uno eguale però in altri materiali.

MATERIALE PESO a parità di prestazioni e dimensioni
Acciaio kg. 12,36
Alluminio serie 60… kg. 6,78
Fibra di vetro kg. 4,06
Fibra di carbonio honeycomb kg. 1,13

 

Oltre alla riduzione del peso, evidentissima, una caratteristica fondamentale è il coefficiente di espansione termica rispetto ad altri materiali, così notiamo che un ipotetico tubo soffre di questi valori:

MATERIALE CTE o CET
Magnesio 14,6
Alluminio serie 60… 13 circa
Fibra di vetro 7 circa
Titanio 4,8-5,6
Kevlar 3circa
Carbonio base tessuto 2 circa
Invar 1,6circa
Carbonio unidirezionale 0

 

CTE (mm/mm/C°): coefficiente di espansione termica lineare di un materiale, in funzione di un aumento della temperatura. Corrisponde alla dilatazione del materiale.
È doveroso annotare che questi valori sono solo indicativi, molto dipende dalle tecniche che vengono usate per realizzarli, dalla direzione in cui vengono effettuate le misurazioni e, per quanto riguarda il carbonio, anche la fonte di provenienza del filamento (PAN o pece).
Le prime fibre di carbonio sono comparse nel 1960 ed utilizzate esclusivamente per impieghi militari, sono prodotte carbonizzando fibre organiche (rayon, poliacrilonitrile, le poliammidi aromatiche, le resine fenoliche, ecc.), o da residui del petrolio (pece). Chiameremo le prime PAN le altre PECE. La scoperta di questi interessanti composti risale al 1879 da parte di Edison, è stato necessario attendere tempo perché i processi industriali fossero maturi per la loro produzione su larga scala. Le fibre di carbonio rappresentano il punto di transizione tra fibre organiche e inorganiche, in quanto si ottengono trasformando fibre organiche in fibre inorganiche (PAN/PECE).
Non è questa le sede per ulteriori digressioni relative ai processi produttivi delle fibre in PAN o PECE, diremo solamente che le prime sono caratterizzate da proprietà meccaniche modeste, vengono utilizzate per abbigliamento protettivo, ovatte, composti carbonio-carbonio, freni ad elevate prestazioni, mentre le seconde sono molto più performanti ed idonee ad impieghi più specifici.

Lo si capisce meglio dalla tabella seguente:

CARATTERISTICA FIBRA PAN FIBRA DA PECE
Tenacità (Gpa) 1,8 – 7,0 1,4 – 3,0
Modulo elastico (Gpa) 230 – 540 140 – 820
Allungamento alla rottura (%) 0,4 – 2,4 0,2 – 1,3
Densità (gr/cm3) 1,75 – 1,95 2,0 – 2,2

 

Un importante produttore al mondo di carbonio è SGL TECHNIK GmbH con ben 6500 addetti, seguito a ruota dalla GRAFIL INC. (Mitsubishi Rayon Co. ltd), più specializzata in impieghi particolari (aereonautica, medicina, razzi, missili, piattaforme petrolifere, attrezzature sportive, ecc.). Altro nome importante è la giapponese TORAY, la prima ad aver prodotto filamenti in carbonio a 12K, il filamento classico per tessuti da 200 gr/mq. I compositi realizzati con questo drappeggio presentano elevata resistenza all’urto e alta tenacità.
Esistono poi altri produttori minori, con linee specifiche e marchi ben conosciuti nel mercato degli utilizzatori di carbonio.
Dopo aver parlato dei tessuti e delle fibre di carbonio, prima di descrivere i metodi di costruzione, è necessario affrontare la questione delle colle o resine utilizzate per “comporre” il manufatto.
Per realizzare un manufatto in carbonio occorre renderlo coeso vetrificandolo con prodotti e processi specifici.
A seconda della tecnologia disponibile, dei volumi e delle prestazioni finali si possono usare diversi additivi chimici, la questione fondamentale è che molti di questi composti sono tossici e nocivi, alcuni hanno punti di infiammabilità molto bassi (25° C in ambiente saturo), altri sviluppano temperature molto alte in fase di vetrificazione (150° e oltre), altri hanno costi elevati e non sono facilmente reperibili, soprattutto per i privati.
Tipicamente il rapporto resina-carbonio viene predeterminato, con il fine di ottenere risultati il più vicini possibile al progetto originale, pur tuttavia esistono degli standard ufficiali ai quali più o meno tutti i costruttori si attengono:

carbonio pre-peg resina 38% carbonio 62%
carbonio pre-peg roving resina 45-40% carbonio 55-60%

 

Si possono usare le seguenti resine:

poliesteri molto economiche, non consigliate per manufatti in carbonio (anche se purtroppo molti le usano); costo ipotetico = 1 – ortoftaliche
vinilesteri tossiche, molto maleodoranti (50 ppm sono già da considerarsi inquinanti a livello atmosferico), si usano soprattutto nelle fibre di vetro. Sconsigliate per il carbonio; costo ipotetico = 2.7 – 3.2 – standard
epossidiche quelle ottimali per il carbonio, ovviamente per realizzare un manufatto non è sufficiente una resina, ne occorrono di diversi tipi applicate in momenti diversi, abbinate a solventi, distaccanti, pellicole per lisciare lo stampo ecc. Il costo finale di questi prodotti è elevato, soprattutto se acquistati in piccole quantità per uso personale o per piccole tirature; costo ipotetico = 2.8 – 3.5 – induritore standard
FPR nuovissime resine ad alte prestazioni, praticamente precluse ad uso privato – sia per ragioni di sicurezza – sia per l’oggettiva impossibilità di applicarle senza una adeguata preparazione tecnica e strumentale; costo ipotetico = 8 – 15 – induritore speciale, apposite per vetrificazione a microonde
Poliimmidiche PMR   per uso missilistico e aerospaziale; costo ipotetico 60
Tecnica veloce: Densità = ISO 1675/85 e 2781/88 grandezza fisica senza unità, indica la massa volumetrica di un materiale;                                              Tixotropia = capacità di un prodotto di rimanere ancorato su superfici verticali senza colare. Varia in funzione della temperatura.
Epossidiche = resine termoindurenti che reagiscono per poliaddizione, con eccellente resistenza in temperatura (fino a 250° C) ed una grande rigidità;
Rapporto di miscelazione = indica la proporzione di miscela tra due parti(resina/indurente o isocianato/poliolo): deve essere invariabile e preciso.
Potlife = in minuti, dopo miscelazione, periodo di tempo durante il quale il prodotto è applicabile. Varia a
seconda del volume miscelato e della temperatura. Quindi a temperatura uguale, un volume di 0,250 litri avrà un potlife più lungo di un volume di 0,500 litri.
Tempo di indurimento = in minuti, tempo necessario ad un termoindurente per passare dallo stato liquido allo stato solido (attraversando prima una fase di gelatificazione). Al punto di indurimento il prodotto non possiede le sue proprietà ottimali.
Tempo di gelatificazione = in minuti, periodo di tempo prima che un termoindurente reattivo perda sensibilmente il suo aspetto iniziale.
Tempo di formatura = in minuti, periodo di tempo che precede la separazione del termoindurente dal suo stampo, senza rischio di deformazione irreversibile.

 

Si noti dunque che il tessuto di carbonio ha un costo variabile a seconda del tipo che si decide di utilizzare, ma incide anche il costo delle resine, dei diluenti, degli induritori e di tutti gli altri prodotti da impiegare. Quindi già abbiamo due passi da considerare: il tipo di tessuto (peso per metro quadrato, tipo di disegno, spessore da raggiungere), il tipo di resina per la vetrificazione del manufatto (per uso astronomico molti produttori usano resine poliesteri, considerando che non ci saranno mai impieghi critici che ne mettano in discussione le prestazioni, questo a scapito delle prestazioni generali dello strumento).
Le aziende che utilizzano la tecnologia dell’autoclave, praticamente irrinunciabile per risultati di un certo livello, acquistano tessuti denominati pre-peg, cioè già impregnati di resina. Purtroppo questi tessuti vanno conservati a –18° C, hanno una data di scadenza, sono molto costosi (anche il loro trasporto viene effettuato a temperature controllate) e sono praticamente preclusi ai privati. In aeronautica si usano solo questi tessuti, ma viste le problematiche citate si consideri che i più grandi produttori di componenti in carbonio ,hanno realizzato i loro stabilimenti a poche centinaia di metri dall’utilizzatore finale (Boeing, Airbus ecc.). Per completezza occorre anche dire che si possono utilizzare tessuti pre-impregnati senza avere a disposizione l’autoclave. Poniamo il caso di tutti i manufatti in cui non occorre spingere al massimo le caratteristiche meccaniche degli stessi. Notiamo che il costo di questi prodotti è elevato in tutti i sensi, (circa il doppio di un tessuto secco sommato alle resine di impregnazione) anche considerando che viene comunque impregnato a richiesta con la resina desiderata.
La combinazione e la scelta delle resine e dei suoi prodotti collaterali è legata alla tecnica di produzione che si decide di adottare e delle prestazioni che vogliamo dal nostro manufatto finale. Va subito detto che solo una di queste tecniche è alla portata del dilettante o del piccolo assemblatore, tutte le altre richiedono competenze ed attrezzature il cui investimento supera ampiamente il costo di una piccola azienda. Non si deve discutere – comunque – sul fatto che per avere un prodotto perfetto e veramente performante non si può pensare di mettersi sotto il garage di casa, con materiali più o meno di recupero o acquistati nel negozio di aeromodellismo o nei kit per autocostruttori motociclisti.
Ora vediamo di fissare alcuni concetti base nella realizzazione di un manufatto in carbonio o carbonio/kevlar.
Prima di effettuare qualsiasi acquisto è necessario raccogliere tutta l’adeguata bibliografia dei produttori di materiale, fornirsi di un valido programma specifico per il settore. Chi scrive utilizza programmi di progettazione in cui vengono considerati tutti gli elementi fisici dei tessuti (spessori, disegno del tessuto, tipo di carbonio, titolo della fibra, angolo dell’intreccio, numero di pelli sovrapposte e per ciascuna di esse l’esatto posizionamento, resine applicate,
quantità delle resine in rapporto al tessuto, ecc. ecc.), questi programmi possono evidenziare facilmente come si comporterà, in funzione della tecnologia usata, il nostro prodotto. Capiremo quindi i valori di espansione termica, torsione e flessione, ed altri numeri ritenuti nel caso specifico secondari. Il software fornisce immediate visualizzazioni grafiche di punti critici o differenziazioni eventuali. Questi programmi sono abbastanza costosi perché poco diffusi, normalmente non sono di facile acquisizione (per il costo) da parte di molti dilettanti, e comunque si noti bene che vincolano la progettazione solo a componenti di dichiarata qualità realizzati da multinazionali o grandi aziende. Questo è bene dirlo perché qualcuno potrebbe essere attratto dal basare la propria progettazione con componenti acquistati dal grossista di turno, il quale quasi mai dichiara la vera provenienza delle proprie resine.
Ora, superato lo scoglio della progettazione, sorge un problema estremamente delicato e dal quale dipende il risultato finale: lo stampo
Questo stampo su cui vanno adagiate secondo una tecnica molto ben definita le pelli, e secondo il nostro progetto di calcolo dei fattori strutturali, deve essere eseguito a regola d’arte, sia per far funzionare bene l’infusione delle resine, sia per dare un risultato estetico all’altezza della spesa sostenuta. Moltissime sono le tecniche per ottenere uno stampo, negativo o positivo, e non staremo qui a descriverle. Diciamo solo che a livello industriale si usano apposite macchine dotate di cad/cam. Si usa un impianto funzionante su 5 assi, precisione nominale di 0,01 mm.. Questa macchina parte da un progetto (tipicamente un disegno in Cad) ed inizia a “fresare” con l’utensile avente 5 gradi di libertà un blocco di resina di densità adeguata, per grandi tirature si utilizza anche l’alluminio o se si vuole anche il gesso ceramico per pezzi unici. Alla fine di tutto il processo si otterrà una replica esatta di quanto si è progettato, sia in negativo o se si vuole in positivo. Le tolleranze sono strettissime e la medesima precisione si otterrà nel manufatto finale. Alcuni utilizzano controstampi in carbonio per avere una finizione superficiale di alto livello, procedimento non necessario se si dispone di adeguati centri di lavoro cnc. Gli amanti del fai da te possono provare a produrre lo stampo in gesso ceramico (costa pochi euro), è molto liscio oltre che resistente, la tecnica sta nell’abilità di ciascun autocostruttore perché qui la fantasia ha spazio per esprimersi. Chi scrive ha visto tubi per telescopi autocostruiti, unendo due mezzi tubi, incollati con resina al loro interno, ciò per evitare il costo o l’impossibilità di avere uno stampo completo nelle tolleranze meccaniche richieste. Queste realizzazioni vanno viste come interessanti a livello di bricolage, non hanno nulla a che vedere con produzioni industriali certificate e che soprattutto rispondono alle caratteristiche che l’acquirente si attende in relazione alla cifra sborsata.
Supponendo di aver risolto il problema dello stampo, è utile verificare – prima – che il metodo da noi scelto corrisponda e serva alla tecnologia adottata per l’infusione delle pelli di carbonio. Ogni metodo di infusione richiede uno stampo progettato in modo adeguato e che tenga conto delle sollecitazioni cui viene sottoposto.
Il metodo più in uso, grazie alla sua versatilità ed ai buoni risultati che offre, è quello dell’autoclave. Il nostro stampo, ricoperto dal carbonio e dalle resine, il tutto racchiuso in un sacco sottovuoto (e costantemente mantenuto sottovuoto tramite apposita pompa), viene posto dentro un cilindro tipicamente avente un diametro di un metro e una lunghezza di 3 metri (ma ne esistono lunghi anche 20 metri), all’interno del cilindro viene creata una pressione costante di 8/10 bar, ed una temperatura variabile tra i 50 e i 200° secondo opportuni diagrammi di progettazione del manufatto, il tutto rimane a cuocere per alcune ore. Questo processo permette la perfetta vetrificazione delle resine e la totale espulsione di bolle d’aria insite nel nostro stampo/tessuto, infatti aver creato un vuoto atmosferico non è sufficiente a togliere ogni residuo d’aria e questo rappresenterà un punto di debolezza e non uniformità del nostro tubo. Lo stampo non puo’ essere di gesso, ma almeno di resine epossidiche apposite con durezze e uniformità controllate. Il costo di queste macchine parte dai 70.000 euro in su. Grande è il consumo di energia e di aria compressa, nonché di acqua depurata per il raffreddamento della camera di stasi secondo il diagramma che il progettista ci ha fornito. Di norma in questo ed in altri metodi di infusione, in cui il trattamento avviene sottovuoto, il valore del vuoto viene tenuto continuamente controllato, dando origine a diagrammi che per garantire la perfetta riuscita del manufatto devono risultare esattamente lineari, o con pochissimi scostamenti.
Un altro metodo usato, per strutture piatte e/o lineari, è quello dello stampo e controstampo (in questo caso tassativamente in alluminio ad alta resistenza). Entro i due stampi vengono poste le pelli impregnate dalle resine. La parte inferiore dello stampo è ferma, la parte superiore scende e comprime il tutto a valori compresi tra le 200 e le 250 bar, lo stampo è riscaldato a temperature di circa 140-180°, poi sempre secondo metodi calcolati si segue un diagramma di salita e discesa delle temperature. Il processo può durare alcune ore o alcuni minuti in funzione della resina utilizzata. E’ un metodo molto costoso e lo usa solo per piccole componenti. Praticamente precluso ai privati, visto il costo della macchina che parte da 200.000 euro, ma ancor più per il costo degli stampi che hanno prezzi elevatissimi e non sono ammortizzabili se non realizzando centinaia di esemplari tutti uguali.
Una variante al metodo sopra indicato è stato recentemente messo a punto per nota casa aeronautica americana dal produttore EDO: praticamente le pelli vengono pressate senza resine, sparate successivamente a 400 bar! Il resto del processo è un segreto ma i risultati sono strabilianti. Questo metodo è usato per la costruzione del caccia Raptor Y22. Tutti i metodi industriali, in cui i parametri di pressione, depressione, temperatura, timing, rampe di salita e discesa dei valori, richiedono controllo e certificazione. Di norma in applicazioni che devono superare normative severe, si utilizza anche una scannerizzazione ecografica avente lo scopo di verificare disuniformità interne al manufatto (esempio: bolle d’aria), che posso comprometterne le prestazioni.
In ultimo, saltando tutti gli altri sistemi di infusione in quanto troppo complicati e molto specializzati o limitati solo ad alcuni tipi di fibra, esiste il metodo dell’RTM leggero. Questo sistema è il più semplice ed anche l’unico applicabile dall’amatore. I risultati sono molto variabili e comunque legati alla qualità dell’attrezzatura impiegata, tutto il processo deve essere accuratamente controllato, pena la presenza di difetti e imperfezioni. Costa niente se si vuole pasticciare, costa un po’ se si vuole lavorare bene e ottenere manufatti discreti e performanti. Il nostro stampo di resina, di alluminio, di plastica o di gesso ceramico, viene trattato con tutti i prodotti necessari come ad esempio i prodotti liscianti e i distaccanti, poi vengono poste le pelli, il tutto perfettamente sigillato dall’atmosfera con un sacco apposito nel quale viene mantenuto e creato un vuoto costante. Si crea il vuoto, e tramite un semplice sistema di iniezione, inizia ad entrare la resina che prende il posto dell’aria evacuata dalla nostra pompa. Ad infusione ultimata si può porre il pezzo in cottura a 50° circa per 6-7 ore o lasciarlo vetrificare da solo per almeno 24 ore. Sinceramente non è difficile da applicare questo metodo, ma nemmeno tanto facile, ci sono tantissimi accorgimenti da controllare e verificare e soprattutto molte “furbizie” da imparare. Comunque è percorribile. A livello industriale è considerato semplicissimo e a basso costo, si realizza qualunque manufatto in carbonio o in fibra di vetro, costa poco e tiene lontano il personale da prodotti chimici sempre tossici e nocivi. Un costo: per chi si vuol fare un pezzo e non va troppo per il sottile, escludendo la pompa a vuoto che può essere ricavata da un frigorifero rotto o con altri metodi (tubo di venturi), 100/150 euro di attrezzatura, più il carbonio e 10 euro di gesso per lo stampo; per l’azienda che utilizza valvolame e accessori appositamente realizzati, nonché pompe filtrate, stampi in resina ecc. diciamo intorno ai 10.000 euro per un piccolo impianto realizzato a serie brevi e non troppo grandi dimensionalmente.

Tecnica veloce: esotermia = sprigionamento di calore provocato dalla reazione chimica della miscelazione di diversi componenti;
Resistenza alla temperatura = Tg: frontiera termica in cui il campione polimerizzato tende a mutare le sue proprietà fisiche. Si tratta di un cambiamento di stato del materiale.                                                                                                                  HDT: temperatura di flessione sotto carica di un provino a tensione termica. Corrisponde ad un livello di deformazione del provino stesso.                                 CTE: coefficiente di espansione termica lineare di un materiale, in funzione di un aumento della temperatura. Corrisponde alla dilatazione del materiale.

 

Ancora un momento: dopo tutto quanto si è detto precedentemente, forse è utile fare una piccola digressione sul tessuto in carbonio (e suoi simili), così da comprendere pienamente le argomentazioni a cui è necessario ricorrere per progettare bene il nostro manufatto.
A seconda del progetto dovremo ricorrere ad un tipo di tessuto specifico per tutti gli strati o per uno strato particolare (ricordiamo qui che i tessuti hanno spessori molto piccoli, così un 200 gr. mq. ha uno spessore di 0,20 mm circa). I disegni disponibili sono sei, non volendo entrare nel dettaglio tessile, diremo che il diverso incrocio dei filamenti di carbonio ci dà un tessuto con prestazioni completamente diverse sia prima che dopo il trattamento di vetrificazione. Più sommariamente possiamo dire che misurando l’angolo di deposizione dei filamenti (0/45/60/90° escludendo il non – wowen) otterremo un risultato meccanico della nostra lamina – si ricorda brevemente che un tessuto in composito è ortotropico – è per questo che si parla sempre di compositi realizzati a più pelli (sandwich), ciascuna con caratteristiche diverse o uguali a seconda del nostro obiettivo. La diversa scelta delle pelli, la loro combinazione, il loro numero e il sistema di vetrificazione, nonché la quantità di resine ci dà la possibilità di predeterminare:
tutti i valori di deformazione termica sia per gli assi Y,Z, X nelle loro combinazioni piu’ svariate, tipicamente CTEx – CTEy – CTExy – +CTExk – +CTEyk – +CTEkyk + -CTExk – -CTEyk – – CTExyk – +CTExyk – -CTExyk , più semplicemente CTE è il coefficiente di espansione termica, x/y/z/k sono gli assi, + o – è il senso della deformazione positiva o negativa sul piano; questo dato è importante qualora si desideri utilizzare il composito in applicazioni astronomiche di alta precisione in cui il valore CTE sia perfettamente predeterminato; non va dimenticato il valore MTE (valore espansione termica delle resine), che va equilibrato in modo ben preciso, infatti questo valore varia di strato in strato e puo’ incidere fortemente sul parametro CTE, di norma l’MTE è sempre più elevato del CTE e controllarlo non è facile (da qui la necessità di infondere le resine e gli additivi in modo adeguato e verificabile);i valori relativi allo stress del materiale, ossia in quali condizioni il nostro manufatto inizierà a perdere rapidamente le proprie caratteristiche meccaniche, si ricordi che mentre un metallo inizia a cedere secondo una curva ben precisa, i compositi hanno un diagramma ben diritto, ovvero il cedimento è immediato e catastrofico (tipicamente il manufatto collassa o si sbriciola), per gli impieghi astronomici questo valore è insignificante viste le forze deboli in gioco rispetto alle proprietà del composito;
il CVF (critical vibration frequency), molto importante nel nostro settore come il lettore ben sa;la micromeccanica e cioè tutti i valori di resistenza del manufatto dal punto di vista meccanico.

 

 

Utilizzo delle fibre composite (2° parte)

UTILIZZO DELLE FIBRE COMPOSITE NELLA REALIZZAZIONE DI COMPONENTI OTTICO – MECCANICHE DI PRECISIONE. (Seconda parte)

DIAMETRO INTERNO in 2,5
LUNGHEZZA Hz 300
C.V.F. (critical vibration frequency) in/lb 700
Forza di torsione massima
(le misure sono in pollici/libbre)
in 30

Soluzione: ecco come dovrà essere composto il nostro tubo per avere le caratteristiche richieste dal cliente

LAMINA NR TIPO DI LAMINA SPESSORE in. ANGOLO dei filamenti
1 carbonio/epossidica 0,005 0.0 unidirezionale
2 carbonio/epossidica 0,005 90.0
3 carbonio/epossidica 0,005 45.0
4 carbonio/epossidica 0,005 – 45,0

Che ci darà i seguenti risultati, oltre alle misure richieste:

punto massimo di stress della prima lamina 13,950 psi (pounds square inch)
torsione (700 lb/in corrispondono a 3,536 psi) 3,9
vibrazioni 338 Hz

(appena al di sopra dello standard richiesto, ma accettabili per un veicolo fuori strada)

Questo risultato si ottiene automaticamente dai programmi di calcolo in uso, a monte vi è anche la scelta del tipo di infusione del tessuto, e il tipo di resine nelle varie combinazioni. Anche i diagrammi di pre o post cottura devono essere determinati.
Parliamo finalmente di telescopi. Nella pagine precedenti si è cercato di descrivere, in modo molto sommario, quali sono i metodi e i composti che si utilizzano per la realizzazione di un manufatto in carbonio, sia tubo o barra o quel che si vuole.
Non ripetendo prestazioni e risultati di ogni metodo e composto, è utile discutere sul perché puo’ essere utile o inutile utilizzare questi materiali compositi nel settore astronomico.
Distinguiamo subito in modo chirurgico l’argomento in questione: quando serve e quando non serve un accessorio o componente per astronomia in carbonio.
I lettori avranno capito che per ottenere risultati veramente eclatanti la tecnologia non è così semplice, e soprattutto non è economica. Va considerato che questi risultati si notano anche in strumenti di dimensioni medie (dai 250 mm in su di diametro e con rapporti focale molto alti es. f15-f20). Applicare il carbonio e sfruttarne appieno le sue fantastiche proprietà obbliga anche ad usare tutto ciò che gli sta attorno, nei dovuti materiali e nelle dovute tolleranze costruttive. Sta alla furbizia del progettista equilibrare in modo corretto tutte le componenti, metalliche e composite, in modo da ottenere il massimo delle prestazioni al minor costo. Chi scrive per le proprie realizzazioni meccaniche utilizza in outsourcing un’azienda che, oltre ad una preziosa opera di consulenza, realizza esclusivamente parti meccaniche per il settore aeronautico e missilistico. Materiali, tolleranze ecc. sono ai massimi livelli ottenibili e ripetibili; tutti i pezzi vengono prodotti dal pieno e il lingotto è radiografato prima della lavorazione, cosi’ da evitare la presenza di disuniformità nel manufatto, praticamente, le tolleranze standard richieste sono entro 0,02 mm. con punti ancora più critici. I macchinari e quindi i centri di lavoro sono al top. Tecnologie che nessun e ripetiamo nessun costruttore di telescopi amatoriali può utilizzare semplicemente perché mai ammortizzabili. Ovvio ci sono costruttori di pregio che si avvicinano a questi valori, ma in definitiva per un numero limitato di pezzi, a costi forse non calcolati esattamente ( probabilmente ricaricano di molto il costo primo dello strumento), inoltre – e questo è importante – lo stesso parametro di precisione va mantenuto su tutta la struttura, cosa non facile………..il lettore si domandi perché queste precisioni spinte (almeno cosi reclamizzate) sono prettamente riservate a strumenti di dimensioni modeste, e quando queste dimensioni crescono i costi si demoltiplicano per varie volte…..quasi un esercizio tecnologico.
Domandiamoci: eseguire un pezzo a controllo numerico ha costi altissimi (disegno e preparazione CAD/CAM, attrezzatura del centro lavoro, materiale, ed in ultimo il lavoro vero e proprio, magari di pochi minuti), tali costi possono essere solo ammortizzati con la produzione in serie. Quanti produttori hanno realizzazioni in serie? O producono a controllo pochissimi pezzi (ecco il costo elevato), o moltissimi pezzi ma ad ampie tolleranze (ecco i prezzi ridicolmente bassi nei paesi di origine).
Chi scrive non vuole entrare nel dettaglio relativo ai metalli che devono accompagnare la parte in carbonio, ma occorre però sapere che le leghe di alluminio – ad esempio – sono molte, ciascuna con modelli comportamentali di varianza termica o meccanica ben precisi. Allora che senso ha utilizzare il carbonio per eliminare dilatazioni termiche del complesso ottico, abbinandolo ad una lega che forse annulla tale vantaggio? Anche qui entrano in gioco i costi: la lega di alluminio della serie 20…. è praticamente la meno adatta si usa per applicazioni di scarso valore, poi si passa alla serie 50…. che è quella di uso comune, adoperata in tutti gli strumenti commerciali (costo del lingotto circa $ 1,50 al kg.), poi la serie 60…. più pregiata ma senza determinate prestazioni (costo del lingotto circa $ 3,20 al kg.), ed in ultimo la serie 70… conosciuta come Ergal (costo del lingotto circa $ 6,50 al kg.). Il Titanio è da usare con grande parsimonia, sia perché costosissimo, ma anche perché pone seri problemi di lavorabilità se non si dispone di attrezzature appositamente pensate. Si rimanda il lettore a testi specifici su questo argomento, che forse molti farebbero bene ad approfondire. Comunque questo giustifica e spiega anche la differenza di costo tra uno strumento e l’altro, a volte non è solo la correzione ottica che “pesa” sul prezzo di vendita.
Da un qualunque trattato relativo ai metalli ricaviamo piu’ in generale:
serie 2000 (avional), il principale elemento è il rame;
serie 5000 (paraluman), il principale elemento è il magnesio;
serie 6000 (anticorodal), i principali elementi sono silicio e magnesio;
serie 7000 (ergal), i principali elementi sono lo zinco e il magnesio.
Queste poche righe ci fanno capire comunque quanto sia fondamentale la regola che TUTTO il complesso strumentale, deve seguire il medesimo standard qualitativo, altrimenti ci si carica di prestazioni che tamponano carenze e si buttano via parecchi euro…
Certamente non si vuole porre tutta l’argomentazione sotto una luce “terroristica”, secondo la quale se non si usa materiale e lavorazioni al top non si può usare il telescopio o non si avrà mai un buon telescopio. Tuttavia ripetiamo e richiamiamo l’autocostruttore su questa questione, spesso si va alla ricerca di ottiche super corrette, arrabattandosi alla bella meglio con il resto, e questa non è una buona strada da seguire. Forse un’ottica corretta a 1/6 funziona alla fin fine come una corretta a 1/8 (molto piu’ costosa), considerando gli abbinamenti meccanici e costruttivi che non ci permettono di sfruttare la seconda nel pieno delle sue potenzialità.
Per le aziende è tutto diverso: il marketing fa da padrone, cosi’ l’industrializzazione meccanica del prodotto o anche i limiti – per gli artigiani – delle proprie attrezzature.Ma torniamo al nostro composito. Abbiamo visto i metodi fondamentali che ne regolano la costruzione del manufatto, le varie caratteristiche prestazionali, le problematiche strumentali e fin dove puo’ arrivare un amatore motivato e abile nel bricolage. Quali considerazioni si possono aggiungere a quanto detto? In primo luogo il carbonio (e i suoi abbinamenti come il kevlar o il titanio) costa molto, se ci si chiede quanto possiamo dire che un metro quadrato di tessuto, avente un peso di 200 gr. e uno spessore di 0,20 mm (occhio allo spessore!) costa al dilettante oltre i 45 euro mentre all’industria circa 25 euro, quindi se vogliamo laminare un mm. avremo bisogno di 4 fogli (il resto è resina) per una spesa di 180 euro, a cui vanno sommate le resine ecc. Tutti sono in grado di calcolare il diametro di un cilindro e capire quanto carbonio ci vuole per farlo con lo spessore di 1 mm.. Ovviamente non calcolando mano d’opera ecc.
Ma il nostro telescopio in carbonio, a questo punto e con tutti questi dati, come puo’ essere progettato? Chi scrive ritiene che esistano innumerevoli combinazioni, ciascuna rispondente a precise prestazioni e che quindi occorra avere ben chiaro in mente il progetto originale.
Sia che si tratti di un sistema a traliccio totale o parziale o di un tubo completamente chiuso, queste sono le possibili varianti affrontabili :
tubo completo in lamina di carbonio,
tubo completo in lamina di carbonio con strato esterno in carbonio/kevlar;
tubo completo in carbonio interno/esterno e struttura alveolare in alluminio;
truss tube in carbonio laminare;
truss tube in carbonio/Kevlar;
tubo completo in carbonio ottenuto da un elemento tessuto tubolare (calza);
Queste sono le possibili combinazioni ancora affrontabili, escludiamo fin da ora per problematiche relative ai costi, altre configurazioni (carbonio/titanio – carbonio stampato ad alta pressione e laminato, carbonio da poltrusione, tecnica del winding, ecc.), e che comunque sono molto interessanti come esercizio tecnologico.
Per ciascuna delle nostre configurazioni avremo delle prestazioni precise che andranno a migliorare o a peggiorare il telescopio in costruzione. Diamo qualche cenno, non esaustivo ma indicativo:
TUBO COMPLETO IN LAMINA DI CARBONIO : diciamo che è indicato per tubi corti, infatti il carbonio ha come svantaggio la difficoltà a mantenere il suo asse quando il baricentro viene spostato, se non si vuole questo problema occorre tenere il tubo corto, o usare forti spessori o sistemare internamento o esteriormente dei rinforzi profilari anch’essi in carbonio. Se il nostro tubo è per un rifrattore – ad esempio – la struttura posta al suo interno per sostenere il sistema dei diaframmi, sia che si tratti di piastre metalliche incollate o di barre, si farà anche carico di mantenere l’asse centrale del tubo entro le tolleranze cercate
(0,02 mm.). Forti spessori portano a forti aumenti di costo. Così un newton ad esempio di 250 mm. foc. 1250 mm. con un tubo di 1,5 mm. è un po’…..pericoloso, se non sono previsti dei metodi di irrigidimento della struttura, il tubo non si romperà mai , ma non sarà quasi mai centrato e ortogonale con tutti gli assi anche meccanici. Si puo’ superare il problema rimanendo in spessori cosi esili utilizzando rapporti fibra/resina diversi e pressioni di lavoro delle lamine accompagnate da un diagramma termico diverso. Attenzione: un dettaglio tutt’altro che insignificante ma che comunque occorre conoscere: le resine leganti il tessuto sono prodotti che una volta terminato il loro processo sono praticamente vetrificate, qui si gioca anche il problema delle inerzie termiche relative al nostro tubo, piu’ resina vetrificata c’è sul tessuto, più esso tenderà a stabilizzarsi termicamente lentamente. E’ importante che il costruttore conosca bene questo problema e utilizzi rapporti resina/fibra adeguati, o utilizzando tessuti pre-peg in cui il rapporto è ben conosciuto e applicato in fabbrica (ci sono pre-peg che arrivano solo al 37% di resina anche se il curing termico richiesto è complesso) , o sistemi di impregnazione controllabili (rtm esempio). Non è cosa da poco, ci sono ancora artigiani che impregnano …….col pennello. Disegni particolari dentro il nostro tubo, posti a eseguire una ventilazione laminare e addossata al pannello di carbonio possono aiutare molto a superare il problema, qui occorre un po’ di fantasia e qualche prova. La bibliografia riporta che alcuni autori hanno riscontrato difficoltà nella stabilizzazione termica del proprio strumento. Questo ovviamente corrisponde al vero, ma non dimentichiamo che il fenomeno è enormemente ampliato dalla configurazione honeycomb, infatti la camera d’aria consistente tra le lamine di carbonio e la struttura alveolare sopravvive in una condizione di stasi termica propria, il che si riflette negativamente su tutta la struttura.  La problematica della flessione del tubo dal suo asse centrale viene subito evidenziata quando un costruttore di OTA pone tra la cella principale (metallica) e la parte terminale del tubo (metallica) una barra robusta anch’essa in metallo. Noi non incoraggiamo questo stratagemma in quanto annulla quasi completamente le prestazioni del carbonio, ed inoltre è indice di una semplice operazione “estetica”, qui il carbonio proprio non serve a niente.
TUBO COMPLETO IN LAMINA DI CARBONIO CON STRATO ESTERNO IN CARBONIO KEVLAR: molto spesso viene messo per fattori estetici, ma ci sono anche dei vantaggi, il primo tra tutti è quello di ridurre la fragilità (esempio urti violenti contro oggetti appuntiti…..ma non è il caso di un telescopio a meno che non caschi dal secondo piano) del nostro manufatto, il secondo è quello di ridurre il problema della scarsa stabilità sull’asse dello strumento. Il kevlar (fibra aramidica di colore giallo) è utile in tutti quei casi, ovviamente non astronomici, in cui si deve ridurre il rischio di crash catastrofici del manufatto (pale per elicottero, attrezzatura sportiva, ecc.).

Tecnica veloce:  
Resistenza agli urti = ISO 179 (KJ/m2): capacità di un materiale di assorbire l’energia al momento della sua rottura per impatto, mediante un martello a pendolo di CHARPY.

TUBO COMPLETO IN   CARBONIO INTERNO/ESTERNO E STRUTTURA ALVEOLARE IN  NOMEX: questi tubi vengono detti “Honeycomb”, proprio perché la struttura interna è simile ad un alveare, si tratta nel nostro caso di nomex, con cellette aventi 5 mm. di lato. E’ la strada più sicura ed economica da seguire per tubi tutti chiusi. Infatti la struttura alveolare impedisce qualunque flessione o torsione del tubo, si userà meno carbonio (tipicamente meno di un millimetro di lastra dentro/fuori). Insomma molto consigliato, con un’unica controindicazione che è quella immaginabile dell’inerzia termica indotta dalla camera d’aria che si forma tra le lamine e la struttura alveolare, questo differenziale di temperatura richiede tempo per essere eliminato. Esistono metodi sperimentali che possono ridurre il problema.
TRUSS TUBE IN CARBONIO LAMINARE: e qui bisogna specificare bene in carbonio laminare, il sistema winding parallelo non garantisce la giusta rigidità richiesta al profilato, per il resto un normale programma progettuale ci dirà diametri e spessori adeguati per lo strumento, conoscendo masse e misure necessarie. Sono eliminati i problemi di inerzia termica e si sfrutta al massimo il basso coefficiente di dilatazione termica del carbonio. Molto consigliato per strumenti sofisticati. Attenzione in fase di progettazione agli accoppiamenti carbonio/metallo e al tipo di colle usate (il carbonio non si potrebbe forare…..quindi in teoria, ma solo in teoria, niente viti eh!).
TRUSS TUBE IN CARBONIO/KEVLAR: puro valore estetico.
TUBO COMPLETO IN CARBONIO OTTENUTO DA UN ELEMENTO TESSUTO TUBOLARE (CALZA): questo è il principale metodo usato per i piccoli rifrattori, le ragioni sono molto semplici, si parte infatti da un tubo già costruito su apposite macchine dette “tubolari” (vengono normalmente usate nel settore tessile), se ne ottiene un tubo del diametro e della lunghezza desiderata, variando la grossezza del filo si ottiene maggiore o minore spessore dell’elemento, il tubo segue poi il processo di stampaggio e infusione essendo inserito in un’anima metallica che lo sorregge. Il problema è che oltre certi diametri non si arriva, ed inoltre ci sono forti dubbi sul come viene effettuata l’applicazione delle resine, visto che non si possono usare pre impregnati……………., lo spessore che otterremo ci deve bastare in quanto non si aggiungono tubi su tubi, al limite si può tentare di rivestire il tutto con ulteriori strati a lamina, cosi’ da aumentarne le caratteristiche.
Capito e accettato questo concetto, possiamo dire che un tubo sia tipo truss o tradizionale, offre – se eseguito a regola d’arte – prestazioni sicuramente impareggiabili rispetto ad uno metallico. In tal caso, abbinandolo a celle opportunamente studiate e ad ottiche di alta gamma, spremeremo il nostro telescopio fino ai limiti massimi. Si tratta di costruire un orologio e non una caffettiera.
Naturalmente occorre una padronanza assoluta della materia. Quanti discutono profondamente delle prestazione di un’ottica, ignorando quasi del tutto le altre argomentazioni di carattere meccanico o tessile nel nostro caso.
Questo sforzo progettuale e finanziario deve essere proporzionato alle proprie esigenze e alle proprie aspettative. Chi non ha particolari pretese o osserva saltuariamente trova sul mercato proposte piu’ che soddisfacenti a prezzi tutto sommato ancora abbordabili, oppure può pensare di autocostruirsi il proprio strumento, molti rivenditori vendono parti staccate a prezzi oramai stracciati.
Per chi invece vuole salire al top trova nei materiali compositi un valido alleato che sempre piu’ nel futuro andranno a sostituire le tradizionali leghe metalliche, cosi’ come è stato in altri settori (in aeronautica il 28-30% di una macchina è in composito) per gli innegabili vantaggi prestazionali.
Unitamente al carbonio e ai suoi derivati, trovano ampio spazio nuovi e straordinari materiali compositi, dalle prestazioni eccellenti e dai costi tutto sommato limitati. Ci si riferisce qui ai polimeri rinforzati con fibre disposte a matrice e additivati con lubrificanti allo stato solido, le prestazioni sono assimilabili in molti casi a quelle dei classici cuscinetti a sfere o a rulli, ma con minor peso, minor costo, e – a seconda del tecno polimero utilizzato – particolari efficienze.
Un classico esempio di arretratezza progettuale la troviamo, ad esempio, in molti telescopi Dobson commercializzati , ove  i costruttori si ostinano, senza motivazione apparente, ad utilizzare materiali e concetti ampiamente superati. Quasi una resistenza passiva alla evoluzione delle tecniche costruttive.
Non sono stati eseguiti test comparativi di strumenti presenti sul mercato, ma solo saggi tecnici singoli, vista la scarsità dell’offerta o la troppo diversa impostazione commerciale dell’offerta stessa (fine puramente estetico o di marketing).
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