Categoria: ARGOMENTI TECNICI MECCANICA

Elementi costruttivi per una messa a fuoco: tipologie e criticità

La messa a fuoco in un telescopio, è uno dei tanti elementi costruttivi che ne determinano in modo preponderante il buon funzionamento.
Si è già parlato altrove della necessità di mantenere in asse perfettamente tutti gli elementi ottici del nostro tubo ottico. Questo vale per le grandi masse vetrose e di concerto anche per le piccole masse (sensori fotografici, oculari).
Questo problema delle assialità, è il VERO problema che tormenta molte costruzioni destinate al campo amatoriale. Purtroppo ben pochi se ne rendono conto, a cominciare da alcuni costruttori, che per tenere prezzi di vendita molto bassi non si curano dei concetti meccanici fondamentali e indispensabili.
Ma, senza voler esporre in analisi matematica, di dove ci portano questi fuori asse, possiamo indicare al nostro lettore ulteriori approfondimenti (vedi: Argomenti Tecnici). Secondo voi una messa a fuoco mal sistemata o peggio ancora mal costruita, vi permetterà la perfetta collimazione dello strumento? Vi permetterà la perfetta messa a fuoco (guardate in Argomenti Tecnici la fotografia di Thierry Legault in cui vi mostra come a 1/100 di mm. di sfuocamento, l’immagine sia praticamente compromessa!).
a fuoco fuori fuoco di 1/100 di mm.
(cortesia Thierry Legault)
La questione delle messe a fuoco viene affrontata mal volentieri dall’amatore. Questo atteggiamento ha ovviamente una sua ragione, la principale è che una buona messa a fuoco costa molto, la seconda è che molti telescopi per dilettanti –sia a traslazione del primario (sconsigliata in tutti i sensi), che con fuocheggiamento tradizionale – sono assolutamente carenti in questo componente. Vediamo frequentemente delle buone ottiche montate su meccaniche buone e messe a fuoco sgangherate, oppure ancora ottiche buone e meccaniche di poco prezzo……. E’ necessario essere chiari: l’astroimager o l’osservatore esperto non può derogare in alcun modo sul fatto che TUTTO il set up sia di assoluta precisione e qualità. Ci sono dei limiti imposti dal peso e dal budget disponibile. Tuttavia noi consigliamo di restare piuttosto a diametri minori ma a livelli qualitativi superiori. Non serve a nulla un bidone da 400 mm. montato alla bella meglio, in quel caso si puo’ realizzare in proprio e con poca spesa un dobson (imparando molto, e questo non ha prezzo), e divertirsi con osservazioni visuali, ma – presto – ci si accorgerà che anche in questo tipo di strumento non è saggio accontentarsi e l’esperienza e le risorse disponibili, porteranno ad un costante miglioramento del telescopio.
Nei siti dei vari produttori di messe a fuoco, manuali o motorizzate, sono pochissimi coloro che dichiarano i fuori asse effettivi (e non teorici da disegno) di cui ogni sistema soffre, anche in funzione della portata per cui è progettato e della leva che la medesima deve subire.
Non è un caso se per chi fa pura astrofotografia noi consigliamo di determinare con precisione il fuoco del sensore, smontare tutto il sistema di messa a fuoco e sostituirlo con un canotto ben calcolato e molto robusto di adeguata lunghezza, a cui lasceremo un movimento di scorrimento di 5-8 mm. e non di più, per gli aggiustamenti del fuoco. Eviteremo in un sol colpo fuori asse, flessioni, torsioni e micro spostamenti improvvisi delle masse in funzione della posizione del tubo.
In questo caso si tenga presente che esiste uno spartiacque ben preciso tra gli astroimager: fotografia con strumentazione leggera (dslr, web, ecc. e al più una ruota porta filtri), fotografia con una strumentazione pesante (grandi sensori CCD, ottiche adattive ecc. ecc.). Il primo caso non è mai fonte di problema se la meccanica del telescopio è costruita MOLTO bene e monta una messa a fuoco robusta e ben realizzata. Il secondo caso – secondo noi – va valutato insieme al cliente e esplorato in tutti gli aspetti meccanici ed ottici, soluzioni preconfezionate in questo caso non ce ne sono, e se ci sono sono a prezzi esorbitanti.
Nella fase di prototipazione e disegno dei telescopi NortheK abbiamo preso in esame una serie di messe a fuoco che il mercato fornisce belle e pronte. Il riassunto, dove ovviamente non è possibile fare nomi, è un po’ questo:
  • vengono venduti prodotti a basso prezzo che non valgono assolutamente nemmeno il basso prezzo richiesto. Provenienza orientale, destinate grazie ad un design accattivante, ad un pubblico di pochissima esperienza e che non sa valutare adeguatamente il compito di questo pezzo meccanico e della sua importanza;
  • vengono venduti prodotti a prezzo medio (250-350 euro circa), estremamente interessanti per le soluzioni adottate, ma assolutamente inadeguati a livello di precisione meccanica.
La diffusione è grande e il marketing è il motivo per cui il cliente li compera. Prove al banco danno fuori asse di 0,5-07 mm. nei casi più ottimisti, ma siamo arrivati anche oltre il mm. (ribadiamo che il nostro asse ottico deve stare entro 0,02 mm. non perché questo abbia un fondamento teorico di chissà quale entità, ma semplicemente perché questa precisione è facilmente raggiungibile e a costi decenti, ovviamente l’ideale sarebbe 0,00 mm. che non si può avere anche per le termiche e i normali valori di tolleranza delle superfici lavorate).
Resta da precisare che il fuori asse, cioè in questo caso di quanto si sposta il canotto di scorrimento interno rispetto al centro ideale dell’asse ottico traslandolo durante la messa a fuoco, è legato a tre fattori concomitanti: il peso alla sua estremità (dslr, oculare ecc.), il grado di precisione e le tolleranze con cui è costruito tutto l’insieme, la solidità a “monte” del meccanismo (cioè svergolamenti del punto in cui attacchiamo il sistema). Ovviamente non parliamo e non consideriamo i fuocheggiatori che già arrivano storti dalla fabbrica, e sono più di quanto si pensi.
Detto questo, e lasciando fuori dal discorso i meccanismi estremamente sofisticati e costosi, di messa a punto che vengono usati in campo esclusivamente fotografico (con corse di 9-15 mm.), a livello più amatoriale e meno specialistico emerge in tutta la sua importanza il concetto che, guarda caso, anche questo pezzo del telescopio è fondamentale per il risultato finale.
Ci sono quattro tipi di messa a fuoco fondamentalmente (sempre escludendo i set appositamente studiati per i ccd):
  1. messa a fuoco tipo cryford;
  2. messa a fuoco pignone cremagliera;
  3. messa a fuoco pignone cremagliera conici;
  4. elicoidale.
Tutti e tre i modelli hanno uno sparpagliamento generalizzato un po’ in ogni tipo di telescopio, marca o modello. Mentre il modello elicoidale è quasi scomparso dal mercato.
Messa a fuoco tipo cryford.

(cortesia Feather Touch)

Come si può vedere dall’immagine il cannotto di traslazione è spinto avanti e indietro da una rotellina posta sopra o sotto di esso che per attrito effettua lo spostamento.
L’idea è molto buona, ma – per funzionare bene – ha assolutamente bisogno di una meccanica eccelsa con pochissime imperfezioni ed inoltre questa meccanica non deve essere eccessivamente leggera. Osserviamo alcuni prodotti di massa (orientali), se ne abbiamo voglia possiamo prendere uno qualsiasi di questi sistemi, smontarlo e con un calibro ricavare tutte le misure. Poi con un semplice programma anche scolastico di CAD si può riprodurre il disegno e capire da  soli  senza nessuna esperienza meccanica dove il costruttore è dovuto scendere a compromessi per abbassare il costo finale del manufatto.
Il problema della messa a fuoco di tipo Cryford è fondamentalmente che non può tollerare carichi gravosi, in quanto il sistema di frizione, per quanto preciso, non riesce a mantenere stabile il sistema assialmente. Ecco perché per applicazioni complesse, con set up particolarmente complicati ma che richiedono assolutamente la precisione, non si può (o non si dovrebbe) usare questo sistema.
Il sistema frizione/cannotto è legato alla precisione con cui viene realizzato. Il cannotto è rettificato? Qual è il grado di rugosità superficiale del medesimo? E dove appoggia il sistema frizione si creano delle ovalizzazioni del sistema stesso (di norma: si) che ne compromettono il funzionamento?
Quando si sceglie una messa a fuoco Cryford è necessario scegliere il meglio disponibile sul mercato, questo è importante, perché se non lo si fa e si compera “al ribasso” saremo condannati ad innumerevoli problematiche, non ultimi i continui slittamenti verso il basso del set up applicato. Il problema quindi della stabilità del cannotto e del fatto che risponda più o meno prontamente ai comandi delle manopole è un problema reale, talvolta i costruttori meno seri applicano delle vitine regolabili dall’utente, che modificano la pressione dell’asse di trasmissione del moto al tubo traslatore. Questo è deleterio per due ragioni ben precise: denota che le tolleranze progettuali sono così ampie che non si riesce a garantire nemmeno dalla fabbrica il funzionamento del pezzo, l’utente non riesce ad ottenere una regolazione opportunamente calibrata. In prodotti migliori questo sistema di regolazione viene mantenuto, ma per accedervi è necessario ricorrere a chiavi, segnale ben preciso che chi ha progettato ha progettato con criterio e ritiene che il settaggio vada fatto solo in casi estremi.
Anche il fatto che la corsa del cannotto venga guidata da più cuscinetti non ha un gran significato. Se la costruzione è precisa possono bastarne 2 di adeguata qualità e robustezza, ma se ne possono mettere un numero infinito peccato che non spetta a loro mantenere l’asse ottico.
Messa a fuoco pignone e cremagliera.

 

 

Questo è stato il sistema usato per la gran parte degli strumenti amatoriali e non solo, fino a qualche anno fa.
In effetti ha un funzionamento molto regolare e molto prevedibile. Quali sono i problemi che si incontrano con questo sistema? Il primo è sicuramente quello legato alla qualità meccanica dell’insieme. Esistono strumenti che montano questa messa a fuoco, magari anche telescopi di pregio, che però soffrono di questa scelta. Mancanza di fluidità e precisione del posizionamento sono i due punti cardine negativi di questo metodo. Resistenza anche a carichi elevati e possibilità di rinforzare il cannotto sono i due punti positivi riscontrati.
Anche in questo caso, la scelta è da operare solo se si è certi che la costruzione meccanica è adeguata e ben fatta, in caso contrario non ci sono motivazioni che ne giustifichino l’acquisto.
Il principale problema è dato dal “salto” che il pignone deve fare sulla cremagliera, è infatti indispensabile che tra i due esista un minimo di gioco (che nell’osservazione si manifesta come un piccolo dondolamento dell’immagine), a meno di comprimere il tutto con tolleranze al limite, ma questo porta un vantaggio sul grado di precisione, ma un grande svantaggio sulla fluidità del meccanismo. In altre parole se dovremo poi osservare ad alto ingrandimento e dovremo lavorare un pochino sulle manopole di regolazione faremo molta fatica ad ottenere un fuoco ottimale. Questo è un problema che non esiste nei rifrattori a lungo fuoco, dove la sensibilità agli spostamenti del piano focale è molto minore.
Messa a fuoco pignone e cremagliera coniche.
Se ci apprestiamo ad utilizzare set up di peso considerevole (per esempio CCD, ruota portafiltri, ottica adattivi, oppure sistemi a proiezione con oculari di pregio e moltiplicatori, ecc. ecc.), diventa indispensabile pensare a questo tipo di messa a fuoco.ù
Il concetto costruttivo è come per la precedente, ma il fatto di avere il pignone e la cremagliera conici elimina in un sol colpo gran parte dei giochi, non obbliga a serrare eccessivamente il sistema e permette quindi anche regolazioni del fuoco molto fini con i sistemi di riduzione.
Anche il problema dello spostamento assiale è molto ridotto, a patto che tutto l’insieme sia costruito a regola d’arte. Sia questo metodo che il precedente sono i più indicati per le motorizzazioni, il sistema cryford resta vincolato a pesi accessori non eccessivi (una buona regola è ridurre del 20% il massimo carico dichiarato dal costruttore, in questo caso avremo un margine di sicurezza effettivamente valido).

(cortesia Feather Touch)

Come si vede dalla figura, questa messa a fuoco è notevolmente impegnativa, sia dal punto di vista qualitativo che meccanico. Di suo ha già un peso notevole, ma è anche l’unico modo per garantire che il sistema mentre trasla non si sposti dal proprio asse ideale e che soprattutto non fletta durante – ad esempio – una ripresa fotografica.
Messa a fuoco elicoidale.

 

In voga fino ad alcuni anni fa, è stata poi praticamente abbandonata dal mercato. Questo è dovuto più al tentativo di introdurre nuovi sistemi vendibili che non a ragioni di ordine tecnico.
Se, e ripetiamo il se, è costruita con tutti i criteri necessari di precisione meccanica, il sistema elicoidale è l’unico che effettivamente può dare garanzie di qualità, anche a carichi elevati e anche in caso occorra una regolazione molto fine del fuoco.
Questo sistema richiederebbe un trattato a se stante perché la sua concezione deve superare quella originale (cioè un cannotto che si svita o avvita da una basetta – vedi foto), oggi esiste l’esigenza di sistemi molto più complessi, dove:
  • non ci sia la rotazione del campo in fase di traslazione;
  • sia consentita la rotazione del campo con precisione, per poter impostare il campo inquadrato dal sensore, e che questa rotazione non disassi in alcun modo l’asse ottico;
  • si possa disporre prima a livello meccanico e poi elettronico di movimenti molto veloci e di micro spostamenti (in pratica come le demoltipliche degli altri sistemi);
  • la corsa sia – entro quanto consentito dal peso del sistema – abbastanza lunga per poter utilizzare tutti i sistemi di ripresa od osservazione visuale.
Ad oggi costruire un siffatto strumento non è per nulla semplice e per nulla economico. I problemi tecnici da risolvere sono enormi e rimane quindi un tipo di accessorio fuori dalla
portata dell’amatore dotato di piccoli strumenti, il costo ed il peso sono due elementi preponderanti. Tuttavia in telescopi di diametro interessante (400 mm. per esempio), questo è
un progetto estremamente valido, posto che venga studiato ed analizzato in ogni dettaglio, come per esempio i tipi di metalli da impiegare, i trattamenti superficiali dei medesimi, le
tolleranze di esecuzione e via discorrendo.
Dall’elenco delle varie tipologie che abbiamo affrontato, rimangono esclusi quei sistemi particolari nascono per applicazioni specifiche: sistemi a piastre, sistemi a pantografo, ecc. Si tratta quasi sempre di ottime realizzazioni, con corse ridottissime e costi di conseguenza. La loro implementazione è destinata praticamente a grandi strumenti per uso fotografico. Scarteremmo a priori tutti quei sistemi che presentano molle di richiamo o tensionatura. Questo è un semplice sistema per mantenere sempre precaricato il cannotto, ma è anche indice di scarsa precisione meccanica, e – fatto ancor più grave – il sistema a molla commerciale non permette di prevedere a priori con precisione il comportamento della medesima.

Elementi di valutazione generale.
Riassumendo le poche righe scritte fino ad ora, è tassativo che il sistema di messa a fuoco risponda ai seguenti requisiti:

  •  per uso visuale
  • movimenti precisi e fluidi;
  • assenza di giochi anche minimi del cannotto di scorrimento;
  • sede per il barilotto dell’oculare precisa che non presenti spostamenti assiali del medesimo in fase di bloccaggio (ideale un sistema conico autocentrante);
  • punto di messa a fuoco non estremizzato ma che consente ancora un po’ di traslazione intra ed extra, per almeno 10 mm.
  • se non previsto in fase di costruzione del telescopio, la messa a fuoco deve avere la possibilità di regolare il piano della basetta di supporto con quattro grani angolari.

  • per uso fotografico
  • come sopra, ma con demoltiplica;
  • possibilità di motorizzare l’insieme, sia in manuale che con pc;
  • assoluta assenza di flessioni del cannotto;
  • assoluto mantenimento del centraggio rispetto all’asse ottico;
  • possibilità di applicare un sistema di rotazione per impostare il sensore secondo le dimensioni lineari dell’oggetto da riprendere;
  • corsa non estremamente lunga del cannotto, o applicando ruote portafiltri e accessoristica varia, avremo inevitabilmente flessioni e torsioni del blocco; a tal proposito meglio utilizzare una serie di prolunghe robuste e opportunamente calcolate;
  • diametro interno calcolato in funzione del campo di piena luce desiderato in modo da non avere poi effetti di vignettatura delle immagini;
  • possibilità di registrare il piano della messa a fuoco rispetto alla culatta del telescopio, per determinare con precisione l’entrata del cono di luce e il relativo posizionamento sul sensore.
Un punto dolente di molte messe a fuoco commerciali è che devono poter lavorare con barilotti di oculari di diversa provenienza. Se si vuole fare una ricerca approfondita e si misurano questi barilotti, si avrà la sgradita sorpresa di trovare tolleranza molto molto ampie, che derivano sia da lavorazioni grossolane, ma anche e soprattutto dalla necessità di infilarsi adeguatamente in messe a fuoco che a loro volta sono costruite piuttosto alla buona. Nel dubbio i costruttori rimpiccioliscono i barilotti. Esito: oculari sempre fuori asse. Abbiamo testato diversi fuocheggiatori e l’unico costruttore che ha dato dei responsi ripetitivi come tolleranza di lavoro è Feather Touch.
Certamente l’optimum sarebbe costruire una messa a fuoco proprietaria, con innesto conico autocentrante, e ovviamente tutta l’accessoristica costruita e calibrata per la medesima. Solo in questo caso si possono garantire dei parametri di alta precisione, che – sia ben chiaro – non sono un capriccio, ma una condizione inderogabile per sfruttare al massimo la correzione ottica e le qualità del nostro tubo ottico. Pochi sono i costruttori in grado di realizzare in modo corretto la catena ottica e meccanica sia visuale che fotografica di uno strumento astronomico.
NortheK © riproduzione vietata

Alcuni criteri sulla realizzazione di una cella per telescopi riflettori

Realizzare un supporto per un primario a riflessione di un telescopio, è estremamente delicato qualora si pretenda da questo componente il massimo delle prestazioni.
Considerando che lavorando normalmente con ottiche molto corrette (es. 1/10 di Lambda), diventa indispensabile creare un supporto che, sia in fase operativa che in fase di regolazione, non introduca alcuna tensione alla base o ai lati del disco di vetro.
Prendiamo in esame diametri piccoli (da 250 a 400 mm), perché per diametri superiori è necessario ricorrere a stratagemmi strutturali molto più complessi.

Usualmente i metodi per effettuare la regolazione del piatto porta ottica rispetto all’asse meccanico dello strumento sono:

  • 3 coppie di viti tira – spingi poste a 120°, ed è il metodo più usuale, meno costoso e più semplice da realizzare;
  • 3 viti tensionate o tensionanti 3 molle poste a 120°. E’ il metodo più semplice da realizzare ma anche il meno raccomandato;
  • sistemi “esotici” che ricorrono sempre a molle, cercando di compensarne il diagramma irregolare di compressione con qualche piccolo artificio meccanico.

Dai test che abbiamo condotto in laboratorio le molle non possono mai essere usate. In caso di molle commerciali il diagramma di compressione e decompressione è sempre irregolare, e a questo punto pensare di poter ottenere regolazioni fini che non trasmettono forze alla struttura metallica diventa molto difficile; con molle appositamente realizzate dal pieno (da produttori estremamente specializzati che certificano i diagrammi comportamentali del manufatto), sussistono comunque delle problematiche di impuntamento e non può essere evitato lo scarico delle forze sul piatto. Ben si intende che qua parliamo di strutture leggere, ovviamente con piatti di grande spessore (2-3 cm.) il problema non si pone, ma ne sorge un altro ancor più grave che è quello relativo alla trasmissione delle inerzie termiche.
Una meccanica generale dello strumento, realizzata secondo i canoni della meccanica di precisione, non richiede interventi frequenti o vistosi da parte del complesso di regolazione ottica. Frequenti disallineamenti dello schema ottico sono indice di meccanica dozzinale.
Da questi presupposti abbiamo iniziato i test di una cella per telescopio riflettore di piccolo diametro (250 mm.), che risponde alle aspettative necessarie per ottiche molto corrette e di limitato peso.
Il materiale scelto per la costruzione è l’alluminio Anticorodal, la lega piu’ idonea per facilità di lavorazione, reperibilità, valori di dilatazione termica. Un pre-prototipo è stato realizzato in Ergal, lega dell’alluminio piu’ performante dell’Anticorodal. L’acciao è piu’ indicato ma pone il problema del peso che non è indifferente.
Un concetto fondamentale da tenere presente è che comunque ogni singola parte della cella, deve essere lavorata con i medesimi criteri di precisione. A tal proposito per consentire una adeguata distribuzione dei componenti e un preciso posizionamento di tutti i pezzi (perni, ecc.), occorre utilizzare lamierati in Anticorodal spianati con una tolleranza di ± 0,1 mm Questo si riflette negativamente sui costi di realizzazione.

Lo studio di ogni componente (eventualmente per chi ne ha comodità d’uso, con almeno Autocad in 3D), deve essere molto accurato e deve prendere in esame ogni aspetto relativo alla sua realizzazione:

  1. economicità in relazione alla qualità desiderata;
  2. precisione (massimo errore permesso ± 0,1 mm dalla figura teorica);
  3. semplificazione;
  4. riduzione dei pesi;
  5. comportamento della parte meccanica prevedibile (flessioni, ecc.).

Grande importanza nel nostro progetto ha lo schema ottico che deve ospitare, ma soprattutto peso, dimensione e spessore del vetro (nonché tipo dello stesso). La cella deve lavorare prevedendo già in fase di calcolo il comportamento della massa vetrosa in ogni condizione d’uso: temperatura, posizione della cella rispetto al baricentro, dilatazioni termiche.
In fase concettuale il nostro supporto deve essere concepito per mantenere meccanicamente il centro ottico con il centro meccanico dell’intubazione, previe lievi correzioni, gli assi devono risultare sempre e perfettamente allineati e mai sghembi, se ciò non si verifica comporta frequenti riallineamenti e difficoltà a raggiungere centraggi ottimali. Ancor più tale questione è importante per configurazioni più complesse (R.C., Cassegrain, Kutter ecc., meno con sistemi più semplici quali il Newton o il Dall Kirk.).
Tenendo presente che si tratta di realizzare un pezzo praticamente unico, a controllo numerico, diventa utile considerare nei costi anche la compilazione della parte CAM (circa il 30-35% del costo del manufatto), da questo fatto deriva la necessità di una dimestichezza almeno teorica con le lavorazioni da officina e con la progettazione a tre dimensioni, ciò consente di evitare errori a volte clamorosi che si riflettono pesantemente sul costo finale.
Una accurata scelta e raccolta di cataloghi relativi a diversi fornitori, risparmia costi e fatica, molti pezzi si trovano già prodotti industrialmente con standard di qualità elevata e vengono forniti singolarmente o in piccoli set.

In funzione dello schema cui è destinata la cella, occorre predisporre in modo adeguato ogni singolo componente:

  1. perni di regolazione;
  2. sostegni radiali dello specchio;
  3. sistema di ventilazione forzata,
  4. foro centrale, flange e controflange per il paraluce eventualmente passante;
  5. sistema di collegamento al tubo del telescopio;
  6. attacco per la messa a fuoco (attenzione al tracciamento del cono di luce in celle con il foro posteriore);
  7. eventuali accessori (jack, ecc.);
  8. manopole di centraggio.

La distribuzione di questi componenti va calcolata con cura, da essa dipende la complessità della lavorazione, l’ergonomia (in caso di diametri limitati), la trasmissione delle vibrazioni, il reale funzionamento di alcuni stratagemmi come ad esempio la ventilazione forzata, indispensabile per masse vetrose con spessori superiori ai 25 mm., che se non collocata in modo adeguato non risponde alle aspettative del progettista.
Va da se che tutta la bulloneria e viteria va realizzata in Ergal o in acciaio inox.
Una buona cella determina anche un corretto funzionamento del set up ottico, sfruttando al massimo la correzione ottica di cui è dotato lo specchio, chi non è in grado di apprezzare queste differenze non è nemmeno in grado di apprezzare il livello di finitura ottica del proprio specchio (livello di lucidatura superficiale, ecc.).
Quali sono i criteri e gli strumenti disponibili per un corretto approccio alla progettazione e finalizzati alla valutazione della bontà meccanica di una cella?
Esiste un software di calcolo, molto diffuso, facilmente reperibile e scaricabile via web con licenza freeware, usato in tutto il mondo con grande profitto: PLOP di David Lewis e Toshimi Taki.
L’uso di PLOP, di non immediata comprensione, non prima di averne acquisito dimestichezza, fornisce indicazioni molto valide, in virtù della sua peculiare precisione di calcolo, ed è soprattutto per questo che ne consigliamo l’utilizzo.
La disposizione e l’orientamento dello specchio sono perfettamente determinanti quando: sia la sua base poggia su un numero adeguato di sostegni, atti a distribuire le forze in modo uniforme, e sia quando il suo bordo poggia su almeno due vincoli laterali.
Seguendo tutti i ragionamenti precedenti, considerando di avere a che fare con superfici ottiche di grande precisione, introduciamo il concetto di grado di precisione dell’ottica a riflessione come, quella rilevata misurando le maggiori deformazioni sul fronte d’onda dell’obbiettivo, in relazione alla lunghezza d’onda Lambda, nel campo del visibile, in cui la vista umana è maggiormente sensibile:

Lambda = 560 nm
(1 nm = 1/1000000 di mm).
La regola di Rayleigh ci dice che: il massimo errore ammesso per ottenere una buona immagine di diffrazione è pari ad un quarto della lunghezza d’onda Lambda:

Lambda/4 = 560/4 = 140 nm
Misurare l’entità dei difetti dell’onda emergente dalla superficie riflettente significa rilevare frazioni di Lambda/4, precisamente difetti nel range ± Lambda/8 (560/8 = 70 nm) infatti la bontà di un’ottica non si misura tanto sulla sua superficie (valore RMS) ma, piuttosto sul fronte d’onda (P.V.)

Lambda/8 = 560/8 = 70 nm
Un’ottica riconosciuta di ottima qualità non fornisce mai 30 nm di errore massimo sul P.V.
Tanto più sottile è lo specchio, tanto maggiore deve essere la cura nella realizzazione della cella in cui alloggerà. Prima degli esempi che seguiranno, utili per chiarire tale affermazione, dobbiamo fare una puntualizzazione: le flessioni di un disco vetroso sotto il proprio peso sono proporzionali al rapporto: R^4/e^2; ove R ed e, raggio e spessore dello specchio, rispettivamente.
Facciamo il seguente esempio: specchio concavo in pyrex del diametro di 2R = 200 mm, spessore e = 30 mm e focale F = 1000 mm. Valore del rapporto R^4/e^2 = 1111 cm² (valore di uno specchio posato su tre punti di appoggio al 65% del raggio e orientato allo zenith).
Tali condizioni come si traducono in termini di deformazione massima ammissibile, sul fronte d’onda Lambda Il programma PLOP ci viene in aiuto dicendoci inequivocabilmente, che il nostro specchio ha una deformazione a P.V. di solo 13 nm, che corrispondono a una deformazione dell’onda pari a:

Lambda/Nù
nel nostro esempio:
Lambda/25 (13×2 = 26 nm, N = 560/26 = 25)
Diremo quindi, che lo spessore minimo di uno specchio, orientato allo zenith, è quello a cui deve corrispondere una deformazione dell’onda pari a Lambda/N, ove N, per il nostro esempio è 25. Si possono anche accettare deformazioni leggermente superiori visto il basso valore di N.

Secondo esempio:
specchio in pyrex di diametro 2R = 300 mm, di spessore e = 60 mm e focale F 1500 mm. Valore del rapporto R^4/e^2 = 930 cm².
Il rapporto trovato risponde pienamente al nostro criterio (valore ottimale 1000 cm², in cui le deformazioni sull’onda pari a N/25 sono molto contenute). Tuttavia, da sottolineare, che uno specchio avente tali dimensioni, possiede un peso rilevante.
Nei due specchi presi in esempio i valori delle deformazioni sono molti vicini, oltre ad essere contenuti.
Terzo esempio:
specchio concavo in pyrex, di diametro 2R = 250 mm, di spessore e = 25 mm e focale F = 2125 mm. Valore del rapporto R^4/e^2 = 3120 cm².
In questo caso possiamo dedurre che la deformazione dello specchio sotto il proprio peso è approssimativamente il triplo dei due esempi precedenti (circa 1000 cm² nei due casi da 200 e 300 mm di diametro). Ricordarsi che stiamo parlando di una cella di partenza per il calcolo, con 3 punti di appoggio al 65% del raggio dello specchio.
Una cella per lo specchio con diametro di 250 mm, e con R^4/e^2 = 3120 cm², va progettata con estrema cura, con un numero minimo di nove appoggi, pena l’introduzione di errori sistematici sul fronte d’onda. La soluzione alternativa è quella di utilizzare specchi molto spessi, ma le esigenti richieste dell’astrofilo moderno, tra cui: la necessità di un rapido acclimatamento dello strumento, bassi pesi e maneggevolezza e non ultima e meno importante, riduzione delle spese economiche, spingono in direzioni diverse, vetri sottili. Infatti quando un produttore rimane su spessori elevati, è perché ha un progetto di cella ancora arcaico.
Il breve excursus fin qui, sul comportamento dello specchio nella cella in cui è sistemato, ha il fine di evidenziare come l’esatta distribuzione delle forze è di rilevanza fondamentale, ma altresì, e questo PLOP non lo include, che la costruzione della meccanica concernente la cella deve essere estremamente adeguata, pena: pesi elevati, difficoltà di termostatazione del blocco metallo/vetro e difficoltà nel trasporto dello strumento.
In fase di regolazione per il centraggio dello specchio dobbiamo evitare che forze temporanee o permanenti inducano tensioni sul piatto che sostiene il complesso vetro/bilancieri: le varie forze, a seguito della taratura, trasmetteranno sempre e comunque tensioni sulla nostra superficie riflettente, vanificando la ricercata precisione.
Da qui, la necessità di approntare un progetto che preveda l’assenza di molle e del sistema antiquato, delle viti tira-spingi. Il piatto, in virtù di una costruzione molto precisa, ha sempre e comunque spostamenti lievi, di conseguenza un sistema di regolazione micrometrico e autobloccante permetterà una taratura estremamente precisa.
Si capisce che ogni componente deve essere lavorato con adeguata precisione: il profilato, cioè la parte fissa, ha tolleranze di lavorazione ancora poco costose, di ±0.1 mm, mentre la parte mobile e di regolazione è costituita da metalli duri, appositamente trattati e rettificati, per non indurre flessioni indesiderate e/o impuntamenti imprevisti.
In sede di progetto, un disegno oculato e ottimizzato, al fine di rispondere a tutte le richieste tecnologiche, per un’adeguata ricerca di alta performance permette altresì, una indiscussa diminuzione dei pesi della struttura, nonché una riduzione dei tempi di acclimatamento, ovvero maggiore velocità di termostatazione.
Dalla teoria sopra esposta e dai risultati degli esempi illustrati ne deriva in modo inequivocabile, l’assioma:

LEGGEREZZA = DIFFICOLTA’ COSTRUTTIVA = COSTI ELEVATI
Un cenno ora, circa gli appoggi laterali, punto dolente per molti strumenti: lo specchio deve appoggiare sempre e comunque su ALMENO due sostegni, meglio sarebbe distribuire questo peso su un numero maggiore di sostegni, ad esempio tre.
Per specchi di diametro superiore a 400 mm, il modello della cella astatica è l’unico proponibile nel caso di ottiche ben lavorate (ne sanno qualcosa i fruitori di dobson da 500 – 600 mm, in cui fenomeni di astigmatismo sono talvolta quasi insopportabili). In questo caso, la progettazione della cella richiede maggiore complessità, non necessariamente di difficile realizzazione, e a costi ragionevolmente poco discostanti da quelli ordinari. C’è da fare infine, una precisazione: gli elementi triangolari sottostanti lo specchio e che lo sostengono, non assumono esattamente la posizione originale prima dello spostamento del tubo, ma vengono lievemente spostati, con l’effetto di procurare astigmatismo (fenomeno d’isteresi).

Buona progettazione !

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