Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Avatar utente
roby2008
Messaggi: 78
Iscritto il: 13/08/2010, 13:21

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da roby2008 »

Permettetemi di ringraziare Massimo e Mauro Boetto, Arduino e Gastone che hanno offerto la propria disponibilità, senza il loro aiuto avrei potuto fare poco, o nulla. Costruire uno strumento non è un risparmio, ma ti permette di adeguare continuamente il medesimo ai propri desideri, eliminando, col tempo, ogni imperfezione evidenziata durante le sedute osservative e decidere in merito quale soluzione scegliere per ogni problema riscontrato.

Purtroppo, molti appassionati sostengono che per costruire un tubo ottico non è necessario rispettare determinati canoni di precisione meccanica, perché con il tilt del primario e del secondario si risolve tutto.

Alla luce di queste affermazioni sottopongo all’attenzione dei lettori alcuni elementi di riflessione. Un telescopio è formato da elementi fissi (tubo ottico), dinamici (fuocheggiatore o sistemi di traslazione del primario e del secondario) e intermedi (deviatori di fascio ottico, correttori di coma, lenti di Barlow, binoculari, etc). Collimare un telescopio non vuol dire allineare soltanto il primario e il secondario. Un Newton costruito con una intubazione dozzinale si può anche collimare, (chi la esegue però deve avere una eccellente manualità, e in pochi lo sanno fare) ma c’è il problema del fuocheggiatore, che deve essere collegato sul tubo rispettando l’ortogonalità del medesimo.

Infatti, se l’asse del draw tube del fuocheggiatore non è ortogonale con l’asse ottico, potremo comunque conseguire la collimazione in una determinata posizione, ma appena ci si allontana dalla medesima, il sistema inizia a scollimarsi. Qualcuno a questo punto potrebbe ribattere che i Newton utilizzano fuocheggiatori con un corse brevi, circa 40 – 50 mm, ed eventuali errori di ortogonalità non avrebbero alcun effetto sulla qualità dell’immagine. Ma se andiamo a leggere sui vari forum popolari, quanti possessori di newton affermano che durante lo star test osservano un’immagine di diffrazione con anelli concentrici in extrafocale ed irregolari in intrafocale, o viceversa?

Tanto per farvi un esempio, il mio rifrattore apocromatico ha un fuocheggiatore Feather Touch della serie 3545 che ha una corsa del draw tube di 114 mm. Prima delle modifiche meccaniche e la messa a punto, il draw tube presentava uno scostamento dal suo centro ideale di 1,2 millimetri. Questo grave difetto si era evidenziato durante l’operazione di pre-collimazione dello strumento, che viene eseguita inserendo all’interno del draw tube un collimatore autocostruito simile a un oculare di Cheshire. In pratica, se conseguivo la collimazione con il draw tube completamente in intrafocale, (attraverso il piccolo foro centrale realizzato sul collimatore si evidenziava un cerchietto luminoso ben distinto al centro dell’obiettivo) alla massima escursione del medesimo, il treno ottico era notevolmente scollimato (attraverso il piccolo foro del collimatore si evidenziava un cerchietto luminoso sovrapposto ad un altro leggermente più debole e spostato di lato rispetto al foro dell’ oculare di collimazione).

Questo problema veniva successivamente confermato anche durante lo star test. L’immagine di diffrazione della stella di riferimento osservata in diretta con l’oculare era sensibilmente eccentrica (il draw tube, in questo caso, è posizionato alla massima escursione). Al contrario, quando osservavo la stella di riferimento con il binoculare Mark 5, che di fatto “ruba” diversi centimetri di back focus e di conseguenza il draw tube si posiziona quasi completamente in intrafocale, riscontravo una immagine di diffrazione concentrica. Ecco perché è importante verificare l’ortogonalità dei componenti meccanici, soprattutto fuocheggiatori e sistemi di traslazione del primario e del secondario. Se questa operazione non viene eseguita, nessun risultato ad alta risoluzione potrà essere conseguito dall’ osservatore.

E quando leggiamo: << sto cercando di avvicinarmi ad una collimazione dignitosa con il mio dobson da 6 pollici. Per ora ho un collimatore laser, ma a causa dei vari giochi presenti nel fuocheggiatore e nel serraggio dei grani dell’adattatore dove va inserito il collimatore, sono tornato al porta rullino forato >> dobbiamo ancora discuterne? Questi post di lamentele e dubbi, fanno emergere in modo dirompente il tema degli assi meccanici, ottici e delle flessioni delle intubazioni. Se si vuole sfruttare bene le ottiche, dobbiamo avere la possibilità di eseguire una collimazione a regola d’arte. Nel mio caso la meccanica lo permette, in altre no.

Ciao.
Roberto



Edited by roby2008 on Jun 18, 2014 at 09:35 PM

Avatar utente
roby2008
Messaggi: 78
Iscritto il: 13/08/2010, 13:21

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da roby2008 »

Si legge spesso sui forum popolari, di astrofili che dichiarano che uno strumento costruito una meccanica complessa e con molte regolazioni, sia più difficile da collimare rispetto ad uno strumento costruito con una meccanica dozzinale (in realtà, è vero il contrario).

Ciononostante, scontato che la collimazione è un pilastro importante, rimane il problema di come questa sia ottenibile e se chi la esegue ha le dovute esperienze di settaggio. Quanti astrofili si chiedono se ha senso acquistare uno strumento altamente tecnologico, che necessita di una messa a punto laboriosa, se poi non si ha il coraggio di toccare le viti di collimazione per paura di rompere qualcosa?

Ma alla prova dei fatti, per quanto sia laboriosa la messa a punto in tubi con molti gradi di settaggio dei vari componenti, dobbiamo prendere atto che collimare strumento costruito con una meccanica dozzinale, oltre ad essere frustante, (questo l’ho provato sula mia pelle) è di fatto impraticabile dalla maggioranza degli astrofili.

Trasportare e montare lo strumento ogni volta, richiede interventi frequenti o vistosi da parte del complesso di regolazione ottica e il mantenimento dell’ asse e del treno ottico diventa praticamente una battaglia costante tra l’osservatore e il telescopio medesimo, sprecando tempo voglia e pazienza.

Ciao
Roberto



Edited by roby2008 on Jun 19, 2014 at 06:47 PM

Avatar utente
maxproject
Messaggi: 3109
Iscritto il: 25/09/2008, 11:57

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da maxproject »

Da non sottovalutare il fatto che ben pochi hanno o hanno avuto accesso a strumenti riflettori (i rifrattori sono molto più elementari) che effettivamente consentono di arrivare ai limiti del proprio diametro e schema. Pertanto non ci si rende conto di cosa si è acquistato (o di quanto poco si sia acquistato) finchè non si ha un paragone.

Maxproject

Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l'ulteriore considerazione. Io scendo dall'Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la volata.
(G. Schiaparelli)

Avatar utente
maxproject
Messaggi: 3109
Iscritto il: 25/09/2008, 11:57

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da maxproject »

Aggiungiamo ora un'appendice al testo di cui sopra. Si tratta di un retrofit eseguito da Roberto su di un tubo artigianale italiano.

Maxproject

Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l'ulteriore considerazione. Io scendo dall'Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la volata.
(G. Schiaparelli)

Avatar utente
maxproject
Messaggi: 3109
Iscritto il: 25/09/2008, 11:57

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da maxproject »

Qualche tempo fa ho eseguito una modifica meccanica sulla cella di un riflettore tipo Cassegrain di un mio caro amico. Per verificare le distanze ottiche di progetto e le dimensioni dei due paraluce è stato necessario rimuovere gli elementi ottici e meccanici dello strumento e riportare il tutto su un disegno in scala 1:1 (questo è il sistema migliore per accertarsi se il costruttore ha realizzato lo strumento rispettando le dimensioni di progetto). In questo post ho riportato il disegno della cella originale (prima della modifica). Gli appassionati hanno così la possibilità di analizzare e confrontare le soluzioni meccaniche applicate. Premetto che il disegno di seguito riporta fedelmente quanto visto e toccato con mano.



La culatta, formata da un piastra in alluminio lavorata dal pieno a facce piane parallele, viene inserita all’interno dell’ anello di rinforzo del tubo ottico tramite un accoppiamento meccanico libero e riscontro frontale.

Il movimento blocco-basculante avviene per mezzo di tre coppie di viti tira-spingi posizionate a 120°. Al centro, nella parte interna, è presente un foro madrevite con passo metrico che mi consente di collegare il canotto-paraluce del primario, mentre all’ uscita del cono di luce, è presente un innesto filettato da 2 pollici Witworth compatibile con gli accessori foto-visuali più comuni.

Sempre al centro, nella parte interna, è adagiato un anello elastico in acciaio a forma conica che svolge il compito di interfacciare il disco di vetro dalla culatta. Il canotto-paraluce che deve sostenere lo specchio primario a sezione conica autoportante è realizzato in due moduli meccanici uniti tra loro. Il primo modulo è formato da un cilindro flangiato con terminale vite filettato, compatibile con il foro madrevite realizzato sulla culatta, che svolge il compito di antiribaltamento del disco di vetro e di bloccare il medesimo quando l’accoppiamento vite-madrevite viene serrato. Il secondo modulo viene collegato al primo tramite un accoppiamento meccanico e bloccato da due grani laterali. All’interno del paraluce non ci sono diaframmi.

Per ammortizzare la parte anteriore dell’ottica il costruttore ha inserito, sulla superficie interna della flangia di antiribaltamento, un anello di interfacciamento in velluto nero adesivo con spessore di 0,4 mm. La costruzione è molto semplice, ma le soluzioni meccaniche applicate evidenziano una serie di problematiche:

a) qualsiasi fuocheggiatore commerciale che viene collegato direttamente sull’innesto filettato da 2 pollici Witworth della culatta presenterà un fuori asse ineliminabile più o meno accentuato. Il fuocheggiatore collegato sulla culatta ha uno scostamento, tra il corpo e il draw tube, di 8 decimi di millimetro. Ne consegue che il corpo del fuocheggiatore è in asse, mentre il draw tube, dove poi si inseriscono gli accessori, risulta decentrato di 8 decimi.

b) Il foro del primario ha una eccentricità, con il suo bordo, di 75 centesimi di millimetro ed è maggiore di 4 decimi rispetto al diametro esterno del canotto portante. Ne consegue che, a causa dell’ampia tolleranza dell’accoppiamento tra il canotto e il disco di vetro, tutte le forze e il peso del medesimo si concentrano su un punto, con l’aggravante che il contatto avviene in assenza di un sistema di tenuta ammortizzato. Ciononostante, ammesso e non concesso che il costruttore abbia ben settato il primario nella sua cella con un sistema ottico di autocollimazione, quanti astrofili sarebbero in grado di rimuovere il primario dalla cella (per eseguire una pulizia) e di reinserirlo poi nella giusta posizione?

c) Per sostenere il peso dello specchio primario il canotto-paraluce va ben serrato, altrimenti tenderà a perdere il proprio asse geometrico (infatti per allentarlo ho dovuto ricorrere ad una chiave a becco parallelo). In questo modo però si introducono forze distorsive che vanno a deformare il fronte d’onda, poiché l’ ottica non è libera di lavorare e dilatarsi in modo opportuno. Oltre a questo si è evidenziato che, anche in presenza del sistema di interfacciamento in velluto adesivo, il disco di vetro veniva a bloccato con il bordo della flangia di antiribaltamento. Ciò è dovuto dal fatto che la superficie interna della medesima è piana, mentre la superficie alluminata del disco vetro ha una convessità più o meno accentuata in base al rapporto focale del primario. In questo caso il velluto adesivo non ha uno spessore adeguato per compensare la differenza geometrica tra le due superfici e la conseguenza è ben visibile come una profonda incisione sulla superficie alluminata del disco di vetro. Nulla di particolare comunque, visto che la superficie interessata non viene intercettata dal cono di luce, però, a pensarci bene, acquistereste un’automobile con la carrozzeria danneggiata?

A questo punto, coloro che affermano che un telescopio costruito con un meccanica dozzinale è facile da collimare, dovrebbero spiegare come pensano di allineare in asse il draw tube del fuocheggiatore con il centro dello specchio primario e il centro del suo paraluce, visto che il primo ha un fuori asse cronico, il secondo non ha una regolazione fine di settaggio e che, a causa dell’ampia tolleranza di accoppiamento con il suo paraluce, non avrebbe mai lo stesso asse del medesimo. Se il paraluce non ha lo stesso asse del primario, ne consegue che il cono di luce che arriva dal secondario viene da un lato intercettato dal paraluce (questo comunque non è un grosso problema), mentre dal lato opposto la luce parassita entra direttamente all’interno del medesimo fino al piano focale, con tanti saluti al contrasto delle immagini (questo invece è un grosso problema).

Siete ancora convinti che un telescopio costruito con una meccanica dozzinale sia facile da collimare? (a questo si dovrebbero aggiungere le problematiche evidenziate sul supporto del secondario e sul tubo ottico).

Ciao.
Roberto

Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l'ulteriore considerazione. Io scendo dall'Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la volata.
(G. Schiaparelli)

Avatar utente
roby2008
Messaggi: 78
Iscritto il: 13/08/2010, 13:21

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da roby2008 »

Retrofit rifrattore apocromatico con ottica Zen 145/1500.

Durante tutto il periodo dedicato alla costruzione della nuova montatura equatoriale, il mio impegno era condiviso con il progetto di retrofit del rifrattore apocromatico che prevedeva la sostituzione del tubo ottico e l’inserimento di una nuova flangia basculante sul fuocheggiatore della Feather Touch, acquistato sei anni fa per sostituire il Vixen mod. 102M.

Immagine
L'obiettivo inserito nella doppia cella

L’obiettivo, inserito su una doppia cella in alluminio Anticorodal nero anodizzata, è un tripletto ED (di vecchia data) a contatto in olio che presenta una apertura utile di 145 mm e una lunghezza focale di 1500 mm, pari ad un rapporto di f 10. L’elemento anteriore prevede un vetro tipo Ohara S-FPL 51 associato a due vetri Flint a dispersione anomala di cui uno asferico. La scelta della focale di 1500 mm permette una correzione dello sferocromatismo al limite di diffrazione per le righe “C” (656nm - rosso), “e” (5,46nm – verde), “F” (480nm – blu), “g” (436nm - violetto). Le due superfici aria–vetro sono trattate antiriflesso con un monostrato al fluoruro di magnesio (MgF2) di colore azzurro. La spaziatura in olio forma un monoblocco omogeneo e trasparente, a dimostrazione che questo metodo di protezione contro le riflessioni, col passare del tempo, non pone alcuna problematica sulle superfici vetrose.

Il tubo ottico in alluminio ha un diametro esterno di 210 mm ed è spesso 5 mm ( per parte). Tutte le flangie di interfacciamento con la cella dell’obbiettivo, con il supporto del fuocheggiatore e i sei diaframmi sono stati realizzati dal pieno. Il tubo è stato lavorato e portato a misura al tornio, in modo da eliminare l’ovalizzazione interna e poter quindi inserire alle due estremità la controcella e la flangia basculante con il minimo gioco possibile. I diaframmi sono stati dimensionati per avere sul piano focale un cerchio di luce di 20 mm e sono fissati al tubo ottico tramite grani a 120°. Sulla superficie interna delle flangie di interfacciamento e sul paraluce, sono presenti numerosi microsolchi che, assieme al velluto nero posizionato su ogni parte del tubo ottico, consentono di minimizzare i riflessi interni.

Immagine
Vista parziale dell'obiettivo

Il fuocheggiatore è un Feather Touch della serie 3545 con messa a fuoco a pignone e cremagliera coniche, completamente rotante e dotato di demoltiplica 09:01. Il progetto costruttivo, molto impegnativo dal punto di vista meccanico, elimina parte dei giochi e non obbliga serrare eccessivamente il sistema, che risulta essere fluido e regolare. Gli accessori da due pollici vengono bloccati sul piano focale tramite un meccanismo autocentrante, ma per avere una presa sicura, è opportuno utilizzare barilotti con profilo privo di scanalatura. Il draw tube ha una escursione di 114 mm ed è provvisto di una scala graduata millimetrica che permette di raggiungere grossolanamente il fuoco nelle varie configurazioni. Con un collimatore autocostruito il fuocheggiatore ha evidenziato due difetti meccanici rilevanti:

1) il draw tube non è esattamente ortogonale al fascio ottico e durante l’escursione si sposta dal suo centro ideale. Per correggere il disallineamento, il fuocheggiatore viene interfacciato tramite una pesante flangia basculante che svolge anche il compito di controbilanciare il peso dell’ ottica.
2) per eseguire la rotazione a 360° è necessario allentare di circa di ¼ di giro un collare filettato che tiene bloccato in sede un accoppiamento flangiato a profilo conico. L’intervento, tuttavia, da origine ad una separazione momentanea dei due componenti e l’effetto si evidenzia come una scollimazione del treno ottico, che permane anche quando poi si restringe il collare di blocco.

Date le circostanze ho ritenuto opportuno bloccare definitivamente il collare filettato che tiene in sede l’accoppiamento flangiato a profilo conico. Per eseguire la rotazione a 360° è stato realizzato un congegno meccanico che viene collegato sul terminale filettato Witworth (24 filetti per pollice) del draw tube (End Cap). Con questo accorgimento non si ruota tutto il fuocheggiatore, come da progetto originale, ma solo gli accessori. Questa modifica accorcia il back focus di 27 mm.

Immagine
Il congegno meccanico che consente la rotazione di 360°

Costruito in alluminio Anticorodal lavorato dal pieno e complementato con due cuscinetti assiali a rullini di 95 mm di diametro, il dispositivo presenta una lunghezza di 40 mm, un diametro massimo di 112 mm e un peso complessivo di 500 grammi. Il progetto si basa principio della rotazione tramite albero – boccola.

L’albero in questo caso è forato al centro e opportunamente dimensionato per permettere al cono di luce di arrivare sul piano focale. Il movimento è ulteriormente stabilizzato per mezzo dei due cuscinetti assiali a rullini che sono contrapposti fra loro e precaricati. Le tre manopole zigrinate posizionate a 120° hanno solo il compito di bloccare gli accessori nella posizione desiderata durante l’osservazione.

Il telescopio è montato all’interno di due anelli di supporto “RING NortheK” molto resistenti. Il lato esterno di questi anelli, e la relativa struttura, permette il collegamento di qualsiasi piastra tipo Losmandy o Vixen.

Per facilitare il bilanciamento del telescopio in declinazione, è stato inserito tra la slitta Losmandy e il morsetto, un congegno meccanico a traslazione con lettura della posizione, utile per spostare il telescopio anche di pochi millimetri e per evitare improvvisi scivolamenti della slitta.

Immagine
Il congegno meccanico collegato al draw tube

Il cercatore è un Meade 8X50 con messa a fuoco elicoidale. Il telescopio ha un peso di 30 chilogrammi (comprensivo di anelli, barra tipo Losmandy, cercatore e paraluce) e raggiunge la lunghezza di 165 centimetri con fuocheggiatore retratto e paraluce (320 mm) inserito a pressione.

L’interferenza delle inerzie termiche sulle prestazioni del proprio telescopio è poco considerata tra gli appassionati. Tuttavia non esiste telescopio che non sia esente dal dilemma delle correnti d’aria dentro il tubo e dei differenziali termici tra il vetro e l’ambiente esterno. Il problema è molto complesso e sarebbe opportuno porre rimedio dapprima, in fase di progettazione iniziale. Il generoso diametro del tubo ottico protegge la corona più esterna del fascio ottico dall’azione di disturbo dei moti turbolenti.

Per minimizzare la turbolenza strumentale e locale, il telescopio, a riposo, è collocato in un stabile in lamiera coibentata, ben ancorato sul cemento armato. Per osservare invece, viene posizionato nel prato erboso lontano dall’abitazione.

La collimazione preliminare dello strumento è stata eseguita in due fasi utilizzando un collimatore autocostruito. Nella prima fase, si posiziona il collimatore sulla flangia di interfacciamento del fuocheggiatore: regolando le tre coppie di viti della cella, si fa coincidere il centro dell’obiettivo con quello del tubo ottico (e dei diaframmi).

Immagine
Il collimatore posizionato sulla flangia di interfacciamento del fuocheggiatore

Nella fase successiva, il collimatore viene inserito sul fuocheggiatore: regolando le tre coppie di viti della flangia basculante, (in questo caso è possibile osservare e correggere contemporaneamente) si fa coincidere il centro dell’obiettivo e del tubo ottico precedentemente collimati, con quello del draw tube. La collimazione preliminare è terminata quando, i riflessi portati a coincidenza con il centro dell’obiettivo, rimangono tali passando dalla posizione intra-focale a quella extra-focale e viceversa. Per perfezionare la collimazione (osservando una stella ad alti ingrandimenti) si deve agire sulle tre coppie di viti della cella.

Lo strumento finalmente è pronto e l’anticiclone ha nel frattempo conquistato la Pianura Padana. La notte del 16 Giugno ho verificato la collimazione osservando Arturo in visione diretta, con un oculare NLV da 2,5 mm a 600 ingrandimenti: l’ottica è risultata collimata. Con un oculare ortoscopico da 4 mm di focale e barilotto da 24,5 mm a 370 ingrandimenti, ho osservato le immagini di diffrazione in intra ed extra focale, vicino al fuoco, evidenziando (come da sempre) anelli ben definiti con una buona distribuzione della luce in modo uniforme, in assenza di colori spuri e virtualmente identiche.

Immagine
Il collimatore posizionato sul draw tube del fuocheggiatore

Non si percepiscono tensionamenti e astigmatismo. Osservando la stella a fuoco si vede il disco di Airy circondato da un sottile e debole anello di diffrazione. Anche le precedenti osservazioni del pianeta Venere avevano confermato una correzione cromatica nel visuale molto spinta, indice che l’ottica è stata progettata con un buon compromesso tra la correzione del colore, dell’aberrazione sferica e del controllo dello sferocromatismo.

A prescindere dalle attitudini individuali per un osservatore visuale planetario sono necessarie molte ore all’oculare prima di percepire i particolari prossimi al limite di risoluzione e sebbene per molti appassionati questa pratica sembra abbia fatto il suo tempo, ci sono ancora coloro che consapevolmente perseguitano questa antica tradizione che ci ha insegnato a osservare il cielo e le sue meraviglie. Si può rimanere esterrefatti di fronte a certe foto planetarie ricche di dettagli, ma la sensazione che si prova all’oculare di quello che si guarda è impagabile.

La luna è uno degli oggetti del sistema solare che più amo osservare. Sul suolo lunare cerco di scovare quei dettagli ostici che in certe condizioni di illuminazione e librazione favorevoli si possono osservare, anche per pochi attimi. La perseveranza in questo caso assume un ruolo importante. L’osservatore che si applica con costanza acquista una maggiore esperienza di quello saltuario, o coloro che in una notte (e ne conosco parecchi) “saltellano” con il loro strumento da un oggetto celeste all’altro. La sera successiva ho puntato il telescopio su Saturno osservando con il binoculare Mark V e una coppia di oculari Ortho Genuine 12,5 mm a 120 ingrandimenti.

Immagine
Per sostenere un rifrattore di 30 chilogrammi e di leva consistente, serve una solida montatura realizzata secondi i canoni della precisione meccanica

Per percepire meglio i colori e i dettagli superficiali, ho iniziato le osservazioni al crepuscolo, con il cielo ancora abbastanza chiaro. Il pianeta degli anelli esibisce tutto il suo fascino, esaltato anche dall’illusione di tridimensionalità che viene fornita dal visore binoculare. A fronte di un buon seeing ho forzato gli ingrandimenti a 205X, con la stessa coppia di oculari e un correttore ottico 1.7X.

Il buon potere risolutivo dello strumento ha permesso di ammirare l’anello B, il tenue anello a velo C, il minimo di Encke e alcune bande sul globo. Successive osservazioni di Saturno eseguite ad intervalli sino alla fine del mese hanno evidenziato immagini di grande tranquillità e una buona resa dei dettagli anche ad alti ingrandimenti, fino a 315X, con la stessa coppia di oculari e un correttore 2.6X.

Chi oggi ha barba e capelli bianchi ricorda certamente il mitico rifrattore acromatico da 120 – 150 mm di diametro, a fuoco f 15, montato adiacente al grosso riflettore negli osservatori astronomici di tutto il mondo e usato principalmente per osservazioni planetarie, lunari e di stelle doppie.

Con l’evoluzione degli schemi ottici, che ha reso possibile la costruzione di rifrattori apocromatici con rapporti di apertura sempre più spinti, questi gloriosi strumenti sono stati ritenuti superati e perfino declassati dalla maggior parte degli appassionati. Nel corso degli anni ho avuto occasione di osservare all’oculare di rinomati TMB e Astro Physisc a fuoco f6 – f7 (fra i migliori dell’ottica apocromatica) riscontrando con sorpresa che il contrasto e la correzione ottica erano alla pari del mio strumento, che ciononostante presenta un obiettivo costruito con metodi di lavorazione di trenta anni fa. Questi apo corti inoltre hanno il problema dello sferocromatismo residuo di progetto che si manifesta come una maggiore sensibilità alla turbolenza e fa perdere il fuoco molto facilmente. Osservare all’oculare di uno strumento dove spesso e volentieri sei tentato di rifuocheggiare non è certamente il massimo, soprattutto per un visualista puro dell’alta risoluzione.

La qualità ottica di questo tripletto di 145 mm di diametro, aperto a f 10 e lenti a contatto in olio, è molto buona. Sebbene sia stato costruito con vetri ritenuti superati, lo strumento, quanto a immagini planetarie, è in grado di rivaleggiare con un lussuoso apocromatico di ultima generazione. Il tubo ottico è stato realizzato con la massima cura e attenzione alle tolleranze di lavorazione.

Saluto e ringrazio Massimo e Mauro Boetto per la collaborazione offerta, grazie del Vostro aiuto.

Caratteristiche ottico/meccaniche Specifiche tecniche
Schema ottico: Tripletto superacromatico a contatto in olio
Apertura ottica effettiva: 145 mm
Lunghezza focale: 1500 mm (f10)
Vetri obiettivo: Flint asferico – Flint – S-FPL 51
Trattamento antiriflesso: Fluoruro di Magnesio (MgF2)
Diametro del campo di piena luce: 20 mm
Back focus: 160 mm
Cella obiettivo: Registrabile per collimazione
Diametro massimo del tubo ottico: 210 mm
Diaframmi interni al tubo ottico: Nr. 6
Lunghezza paraluce: 320 mm
Lunghezza massima del tubo escl. accessori: 1650 mm
Messa a fuoco (con rotazione a 360°): Feather Touch FTF3545
Supporto di messa a fuoco: Registrabile per collimazione
Cercatore standard: 8X50
Peso tubo ottico senza accessori: 30 Kg

Roberto Milan ©
Ultima modifica di roby2008 il 05/12/2020, 18:43, modificato 3 volte in totale.

vesna71
Messaggi: 25
Iscritto il: 05/12/2012, 10:29

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da vesna71 »

Complimenti per le ottime realizzazioni e per la grande voglia di raggiungere la perfezione a partire dai più "piccoli" particolari.
A livello osservativo con quale delle due configurazioni ottiche riesci a rilevare i dettagli più fini sui pianeti o sulla Luna?

Massimo

http://massimovesnaver.altervista.org/index.html

Avatar utente
maxproject
Messaggi: 3109
Iscritto il: 25/09/2008, 11:57

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da maxproject »

Naturalmente Roberto risponderà, inserendo anche le foto mancanti, noi pensiamo - da parte nostra - che i due strumenti non siano comparabili.

Nel senso che l'apo ha sicuramente una marcia in più per quanto riguarda il valore "estetico" dell'immagine, restituendo immagini più "secche", e pulite (come abbiamo del resto constatato noi col il nostro acro 158 mm f 8,7), mentre il DK da 320 mm modificato sfodererà sempre e comunque il suo maggior diametro, sia in termini di dettaglio visibile (seeing permettendo) che di rapporto focale spinto.

Noi pensiamo che Roberto abbia ben compreso che due strumenti così, potendoseli permettere, rappresentano la reciproca complementarietà e il top a livello amatoriale. Riuscite ad immaginare quante cose si possono fare?

Maxproject

Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l'ulteriore considerazione. Io scendo dall'Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la volata.
(G. Schiaparelli)

Avatar utente
roby2008
Messaggi: 78
Iscritto il: 13/08/2010, 13:21

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da roby2008 »

Ciao Massimo,
scusami se non ti ho risposto prima. Ho problemi di connessione e per questo, ho chiesto gentilmente a Massimo Boetto di inserirmi (appena possibile) le foto.
Il Dall Kirkham mostra più dettagli del rifrattore, soprattutto sulla luna. Per quanto riguarda i pianeti invece, il divario diminuisce anche se resta sempre a favore del riflettore.

In futuro (tempo permettendo) troverai, su questo tread, una comparazione eseguita tra i due strumenti in oggetto e una relazione dettagliata sulle prestazioni fornite dalla nuova configurazione DK da 360 mm di diametro a f18, integrata con disegni eseguiti su particolari lunari.

Ciao
Roberto Milan



Edited by roby2008 on Feb 16, 2015 at 01:18 PM

vesna71
Messaggi: 25
Iscritto il: 05/12/2012, 10:29

Autocostruzione: ovvero padronanza della tecnica.

Messaggio da vesna71 »

Grazie.
Sarebbe molto bello poter leggere la recensione dei due strumenti, mi interessano molto anche le tue osservazioni lunari impreziosite dai disegni ottenuti all'oculare di uno strumento dedicato all'alta risoluzione!
A presto.

http://massimovesnaver.altervista.org/index.html